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«Romeo Çollaku, scrittore, poeta e traduttore albanese è un uomo che vive nel culto delle lingue: quelle che ha appreso nell'infanzia, quelle che il mondo ha riversato in Albania dopo la fine del regime, quella che ascolta ad Atene dove oggi vive e quelle fatte di gesti e silenzi. Nel romanzo Miele sul coltello tornano tutte, soffiano con la tramontana, s'inerpicano sulle strade di montagna fino a uno sperduto villaggio dell'Albania meridionale, palcoscenico su cui si muovono bizzarri personaggi». - Robinson
In un villaggio sperduto tra le montagne dell'Albania meridionale si intrecciano le vite di una comunità di bizzarri personaggi. Papateo, scorbutico prete ortodosso che tenta di addomesticare il suo gregge indisciplinato, e la sua nemesi: il misantropo Arcilé, medico e accanito fumatore, proprietario della più bella tabacchiera della regione. La sordomuta Kondja, incontenibile cultrice di pettegolezzi e Gilda, vedova italiana, che di quei pettegolezzi è il cuore e l'anima. Ndoni e Zef, i disertori che trovano rifugio nel piccolo borgo, Mihelangjelo l'incontinente, schernito da tutti quanti, Demetri il Verde, umbratile e solitario, Gogo il mago dello spathi ansioso di scoprire il mondo. Sono, queste, solo alcune delle voci che risuonano nel testo di Çollaku, voci che incarnano la vera essenza della narrazione: è la lingua, infatti, la protagonista assoluta del romanzo, una lingua che si esprime attraverso codici differenti che vanno dai gesti al silenzio, dalla facondia all'afasia, dalla lingua tradizionale al gergo, dagli arcaismi alla commistione con altre lingue, in una babele della comunicazione che rende il testo stratificato.L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
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