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Anna Bonaiuto legge molto bene l'opera, ma è l'opera che non mi ha convinto altrettanto. I salti tra ciò che avviene, ciò che è ricordato, ciò che è evocato o ciò che è semplicemente immaginato non facilitano l'ascolto (non so se sia lo stesso per la lettura). Pur essendo una storia originale, tra l'altro di una parte d'Italia poco raccontata, la Basilicata, ho l'impressione di qualcosa di già letto, già sentito. Una saga familiare che ricorda quelle sudamericane dell'Allende, ma non ha lo stesso potere immaginifico ed evocativo, e altre italiane meglio riuscite. Insomma la solita storia di tradizioni che soffocano da giovani e diventano nostalgia da adulti, del tentativo delle nuove generazioni di affrancarsi dalla povertà, l'ignoranza, le superstizioni che caratterizzano tanti piccoli paesi, sopratutto ma non solo, del Sud Italia. Nessun personaggio infine, mi ha suscitato particolare simpatia o empatia. Si fa ascoltare (o leggere) con piacere, ma non lascia molto.
Il mio voto per questo romanzo è 3,5. Non so perchè non mi ha entusiasmato come avrei voluto. Manca un pò di innovazione nello stile, piuttosto tradizionale. Appartiene al genere delle saghe familiari che cercano di spiegare l'eredità esistenziale dei posteri attraverso l'elemento transgenerazionale. Il passato non ci lascia via di fuga, bisogna prima o poi farci i conti, affrontarlo. Attraverso meccanismi inconsci i drammi si riversano da una generazione all'altra ripetendosi e perpetuandosi; i figli pagheranno i debiti dei loro padri. Quando i debiti saranno saldati, si potrà andare avanti, sicuri della propria identità. Quest'elemento mi pare sia ben esemplificato nel rapporto che lega Lucrezia, Rocco suo figlio e Gioia, la figlia di Rocco. Rocco non si è mai affrancato dalla missione di rendere felice sua madre, tutta la sua vita ruota intorno a questo perno e Rocco ne risente annullandosi, cancella i propri bisogni e la propria identità e quindi è infelice. Gioia, anche a causa dei conflitti irrisolti ereditati da Rocco che li aveva a sua volta ereditati da Lucrezia, non riesce a vivere, fugge alla ricerca di Utopia, vaga di qua di là senza mai sostare a lungo nelle esperienze, senza mai capire chi è e cosa vuole. Sarà solo quando capirà di non poter più fuggire, di non poter più rifugiarsi nell'identità dei personaggi che interpreta nel suo lavoro di attrice e tornerà alle origini per affrontarle che potrà andare avanti. Carino, consigliato
"Mille anni che sto qui" è un romanzo il cui protagonista è il Sud dell'Italia:il Sud lucano,infatti,fa da sfondo alle vicende della famiglia Falcone da quella fatidica data dell'unità di Italia fino agli anni '90 del '900.La Storia scorre con il suo susseguirsi di date e pietre miliari, il ritmo del Sud, invece,ha un suo tempo e una sua dinamica ancorata ancestralmente a usi, costumi e tradizioni locali. A farsi portavoce di questo mondo lucano sono i vari personaggi della famiglia Falcone, da Concetta e Francesco Falcone (possidente terriero), ai loro figli, ai loro nipoti, a Candida, a Gioia. Quest'ultima erede della famiglia decide di tagliare i ponti con il suo Sud: il Sud è un peso, è un macigno che da cafone è diventato troppo borghese (e lei ne diventa vittima), è un mondo che deve essere sostituito da quello ribelle ed hippy. Ma è veramente possibile liberarsi dal macigno tanto doloroso quanto "incantevole", primigenio ed ancestrale del Sud?La Francia può veramente sostituirlo? Gioia lo dovrà riscoprire al momento giusto: quando lo riscoprirà si renderà conto di aver soffocato la sua vera natura, si renderà conto, infatti, che è "mille anni che sto qui". Il romanzo di M.Venezia è scorrevole (salvo qualche espressione dialettale) e dal sapore vivido ed immaginifico (tanto nella narrazione delle scene, quanto nella rappresentazione di tutti i personaggi).
Recensioni
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