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Buon film horror, con una discreta suspense e senza effetti splatter. Dopo una violenta tempesta, una cittadina del Maine si trova avvolta da una fitta nebbia, al cui interno sembra celarsi una minaccia misteriosa. Quasi tutto il film si svolge all’interno del supermercato locale, dove un gruppo di abitanti si trova ben presto intrappolato, e costretto a difendersi da un pericolo tanto sconosciuto quanto terrificante. Ben presto si formeranno schieramenti diversi, tra chi vorrebbe cercare di scappare e chi invece vuole rimanere chiuso nel negozio pensando così di essere al sicuro; come spesso accade in situazioni estreme, verranno alla luce gli aspetti più nascosti della natura umana, mentre tra egoismo, vigliaccheria e qualche sprazzo residuo di umanità, l’istinto di sopravvivenza porterà quasi alla follia. Per essere un horror non abbonda di effetti truculenti, ma l’orrore più grande arriva nel finale, spaventoso, crudele, doloroso e inimmaginabile.
Una piacevole sorpresa questo "The Mist" nonostante la poca originalità e qualche difetto evidente. Il film è la trasposizione cinematografica di un racconto di Stephen King "La Nebbia", contenuto nella raccolta "Scheletri". Una tempesta si abbatte in una cittadina del Maine facendo un pò di danni e il giorno dopo una fitta nebbia incomincia ad avvolgere tutta la zona. Ottima la regia di Frank Darabont che dimostra ancora una volta di avere un talento unico nel mettere in scena la materia originale di Stephen King, non sempre eccelsa la CGI con qualche mostro che convince un pò poco, gran cast di volti poco noti adattissimo alla storia che si vuole raccontare, la recitazione globale è più che buona e su tutti giganteggia Marcia Gay Harden.
Per questo film tratto da un racconto incluso nella raccolta "Scheletri" (di King) siamo di fronte ad un gruppo di cittadini costretti da un evento drammatico a condividere uno spazio chiuso. Il regista riesce a trarre da questa idea di partenza l'occasione per rileggere le dinamiche interpersonali e, forse, per fare qualcosa di più. Man mano che il film procede e che l'orrore si fa più tangibile ciò che colpisce nel profondo non sono tanto i mostri assetati di sangue a cui tanto cinema ci ha in qualche modo abituato. Essi sono e restano uno strumento. Ciò che a Darabont interessa è la lettura dell'America di oggi (ma, con qualche variazione non sostanziale, potremmo aggiungere di tutto il mondo occidentale) in cui l'iniziale solidarietà contro la distruzione imminente finisce con il frantumarsi in una miriade di prese di posizione dove l'ego e i condizionamenti sociali di origine prendono il sopravvento. Si può essere razionali non negando l'evidenza nei confronti dell'impensabile ma si può anche invece decidere (proprio in nome di una supposta razionalità) di chiudere gli occhi dinanzi all'evidenza. Si può esasperare un misticismo fideistico che ha tutte le premesse della crudeltà così come consentire a risentimenti a lungo covati di venire in superficie. Tutto questo viene portato sullo schermo avendo sempre presente lo sviluppo dell'azione e costruendo un progress di tensione in cui l'effetto speciale nasce dagli abissi dell'animo umano; dalle sue pulsioni più profonde e anche dalle sue contraddizioni. È grazie a questo progressivo scavo delle singole psicologie che il j'accuse contro esperimenti top secret si affianca senza alcun moralismo alla compassione nei confronti di Dave, che dovrà affrontare l'orrore più insostenibile. Finale più bello di tutto il film!
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