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Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2014
Anno edizione: 1997
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Se di minestrone si tratta, è di grande chef. A mio parere (e non solo mio), l'ultimo grande classico della nostra letteratura del '900. Lettura per chi ama leggere testi non scontati e non va in cerca (almeno non solamente) di facili emozioni. Multiforme.
Volponi (avvocato e letterato ex dirigente d'azienda) ha vissuto da protagonista gli anni del boom economico: in questo romanzo non solo descrive le conseguenze di un processo di industrializzazione che ha prima sfruttato e poi ignorato la propria componente umana, ma traccia anche il ritratto di un Paese postindustriale che non ha risolto le proprie debolezze e inadeguatezze. Eppure definire questo romanzo solamente un'opera "di denuncia" sarebbe riduttivo: si tratta di un'opera complessa e attentamente costruita anche da un punto di vista teorico. Compaiono i riferimenti all'attualità, ma anche citazioni rivisitate a Leopardi; si denunciano le condizioni alienate e spersonalizzate dei lavoratori, e nell'opera sono praticamente inesistenti i personaggi-persona tradizionali; "non è più il tempo delle human relations" (p. 225), e infatti nel romanzo molti "figuranti" non hanno nome, mentre gli oggetti sono in grado di parlare... "Le mosche del capitale" non è una lettura facile; è un testo amaro e postmoderno, che utilizza uno stile volutamente oscuro (ci sarebbe molto da dire a proposito delle motivazioni di questa scelta), ma vale la fatica.
Il messaggio che voleva lasciare al mondo il signor Volponi poteva essere tranquillamente e chiaramente espresso in non piu di 10 pagine. Il libro è,secondo il mio modesto parere di studente universitario di lettere, un "minestrone di parole" troppo caldo e pieno di ingredienti per essere digerito senza conseguenze. I concetti di base, se pur forti e quantomai attuali, risultano annegati in questo miscuglio insipido. La lettura provocherà forti mal di testa anche al piu convinto "comunista".Troppo prolisso.
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