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Questo libro è stato scritto da Michael Nyman tra il 1970 e il 1972, quando ancora non era iniziata la sua carriera di musicista. Pubblicato nel 1974, questa edizione (che contiene anche una ottima prefazione di Brian Eno e una nuova introduzione scritta da Nyman ai giorni nostri) è la prima che vede la luce in Italia. Perché mai recuperare un testo ormai così datato ? Negli anni ’60 iniziarono a circolare delle musiche che difficilmente si potevano ricondurre alla tradizione accademica (e all’ortodossia dodecafonica dominante), e nemmeno erano banali riproposizioni di modalità classiche di comporre. Ancora meno erano riconducibili alle tradizioni popolari o alla musica (cosiddetta) leggera. Musiche nuove e aliene che cercavano spazi in cui mostrarsi (molte, non casualmente, troveranno più facilmente casa presso gallerie d’arte o spazi legati genericamente all’arte moderna). Piano piano il loro culto si diffuse e, grazie anche ad alcune piccole etichette illuminate, le loro incisioni iniziarono, faticosamente, a circolare. Michael Nyman sentì il bisogno di fare il punto della situazione. Si rese conto che, spesso senza troppi contatti tra loro, artisti diversi stanno rivelando al mondo un altro modo di intendere la ricerca in ambito musicale. Capì che narrare quello che stava accadendo, dargli un nome e un pur vago ordine, era necessario perché tutti questi movimenti singoli fossero rappresentati e percepiti come un’unica, per quanto variegata, onda che stava travolgendo gli steccati della musica. Leggere questo libro quindi significa non solo leggere di questi artisti e di come Nyman li leghi l’uno all’altro, ma significa anche respirare l’aria di un tempo nel quale una scena così frizzante riempiva l’aria di una elettricità capace, dopo tanti anni, di connettere la ricerca musicale ad una, numericamente interessante, fetta di pubblico. Il punto di partenza dei ragionamente nymaniani è John Cage (la versione originale è infatti sottotitolata “Cage and beyond“). A partire da lui il discorso si allarga a figure ormai celebrate come Robert Ashley, David Behrman, Gavin Bryars, Alvin Curran, Morton Feldman, Philip Glass, Alvin Lucier, Gordon Mumma, MEV, Steve Reich, Terry Riley, Lamonte Young e verso altre che dopo tanti anni risultano forse un tantino sopravvalutate (John White, Takehisa Kosugi o Tom Phillips). L’approccio di Nyman è quello di un addetto ai lavori, e quindi all’interno del libro ci si concentra anche su singole composizioni, analizzandole con attenzione. Accade per classiconi del minimalismo come “Pendulum music” di Reich o “In C” di Riley, per la seconda delle “Sonatas and interludes” di Cage, per lo “String quartet” di Terry Jennings… Perché accanto all’entusiasmo per la musica nuova Nyman aggiunge la sua competenza musicale e la sua seria conoscenza delle opere di cui parla. Per illustrare le sue tesi Nyman utilizza anche molti testi degli autori di cui parla aggiungendo la loro voce alla sua voce, rendendo il libro ancor più polifonico, quasi un manifesto generazionale. Quindi, rispondendo alla domanda iniziale, leggere oggi questo libro significa non solo avere uno sguardo su una serie di artisti fondamentali degli ultimi 50 anni, ma anche avvertire come questi potessero essere percepiti nei primissimi ’70 respirando un po’ di quell’aria così lontana da quella odierna da sembrare, ormai, quasi un’invenzione letteraria.
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