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Anno edizione: 2016
Anno edizione: 2017
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In questo volume sono raccolti sei saggi dell'autore intorno al labirinto. Fin dalle prime pagine Kerényi sottolinea che "il problema del labirinto presenta una particolare peculiarità, la quale del resto è comune alla maggior parte dei problemi che sorgono dalla ricerca mitologica: si tratta di problemi privi di soluzione". Ovvero il labirinto di per sé è un mistero; un problema si deve risolvere e, una volta risolto, scompare, il mistero se viene chiarito e risolto non può più essere considerato un mistero. In questo, ritengo, stia tutto il fascino del mistero, per le risonanze e le suggestioni che suscita nell'animo umano. " Il mistero autentico resiste alla spiegazione: non tanto perché si sottragga alla all'esame ricorrendo allo stratagemma di una doppia verità, quanto perché non può, per sua natura, venir spiegato, sciolto razionalmente." In quanto mistero il labirinto, tra alti e bassi, ha sempre affascinato l'umanità: dai labirinti preistorici a quelli babilonesi, dal labirinto di Minosse ai labirinti delle chiese cristiane...
Le fragili avanzate nell'inconscio, il passo esitante su tortuosità imprevedibili, dove il tratto giusto può arrivare per sbaglio o la certezza di una linea sicura può sbattere d'improvviso nello smacco più sommo. Intuiti, percezioni, scavi, come in un lungo studio che approda a una verità ma ne nasconde altre cento nel suo ventre misterico. Cosa possiamo essere se non larve evanescenti nei tanti dedali di una ricerca costante, prigionieri frustrati dentro segrete gocciolanti e tuttavia incoraggiati a incedere, come in una corsa a conoscere che ugualmente ci attrae, vittime e insieme figli di rincorse a capire, a pungere con gli occhi quel piccolo cono di luce che ci darà contentezza, l'uscita, l'approdo, come Valjean trascina sulle spalle Marius fra le fogne sotterranee di Parigi, una città nella città, nei Miserabili di Hugo. La vaga e lanosa testa di capra del fato, il mito che vaga dentro il sensibile come a scoraggiarci con corde d'indecisione, i tranelli, i pericoli di uno studio infinito, gli assalti dell'illogico, gli improvvisi di una svolta, l'emblema dell'accidente. Resteremo sempre in questa scacchiera a spirale, felici di continuare a far parte di un'ombrosa e stupenda festa del conoscere e al tempo poveri confusi omiciattoli sbattuti da venti contrari su sponde di groviglio, nemiche e oscure nel loro fondo più fitto. Il labirinto non termina mai, è origine mai vinta, mai sfiancata, ed è questa - forse - l'essenza di certa felicità. La perenne sfida a sapere, i pruriti di studi per niente vani, il senso di una traccia riuscita sotto i solchi di stanchezze mai dome, i tanti Noi che lottano e si amano in un solo Io che tenta di accudirli.
"Nel labirinto" ritroviamo specchiati i nostri incubi e i percorsi interiori, discese agli inferi e ascensioni verso la luce e la libertà; metafora stessa dell'esistenza - dei suoi inganni, traviamenti, recuperi, approdi - il labirinto può indicare sia un processo mitologico-iniziatico, sia un percorso dialettico-filosofico, sia una strategia politica, o una rappresentazione simbolico-iconografica. Il primo studio presentato in questo volume fu scritto nel 1941, gli altri sono contributi e interventi occasionali tesi ad arricchire le idee-base di quel lavoro inaugurale. E di tali idee-base la più essenziale e fondante risiede nell'intuizione che il viaggio labirintico sia una ricerca, un progetto di attraversamento, una sfida nell'immersione del buio verso una via d'uscita, un affondamento nella morte per riemergere alla vita. Il labirinto non è solo reperibile a Cnosso, (quindi con Minosse-Teseo-Arianna), ma anche in Mesopotamia, Nord Europa, Africa, India, Italia, Nuova Zelanda. Non indica solamente una discesa nel mondo degli inferi, ma può rispecchiare la raffigurazione anatomica delle viscere umane e del grembo materno, la descrizione della planimetria di un edificio, la traccia di danze rituali, o un'esperienza di giochi infantili. Se la sua configurazione principale è quella della spirale, lo troviamo disegnato anche in forme più geometriche e ondeggianti, in meandri che sempre suggeriscono l'idea di una linea senza fine. Come uscirne, come ritrovare il varco verso la libertà? O volando, come fece Dedalo, primo costruttore del mitico labirinto di Cnosso, o seguendo un filo, sull'esempio di Teseo (non sarà un caso, quindi che le antiche danzatrici greche accompagnassero i loro passi tenendo tra le mani una fune). In ogni modo, secondo Kerenyi caverne e labirinti indicano qualcosa di mortale e mortifero, un imprigionamento, un'oscurità e una condanna: mentre la danza e il volo simboleggiano la vita, la leggerezza, l'apertura verso la verità.
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