Remotti e' un antropolgo che ha studiato una popolazione africana per circa 20 anni: i Nande. Stando a contatto con questo gruppo sociale ha potutto apprendere con profondita' di studioso come non esistano differenze tra la civilta' Occidentale della scienza e tecnica e le Altre: i cacciatori- raccoglitori, gli agricoltori di sussistenza, i pescatori che vivono del loro pescato senza usare reti a strascico lunghe 10 km, che distruggono i nostri ecosistemi. La critica ad Hegel e' per questo interessante: non esiste la "perfezione" dello stare al mondo, perche' credere in Dio e nello Spirito e' pur sempre una credenza. Contestuallizando storicamente il pensiero di Hegel, e di altra filosofia moderna e Ottocentesca, vittima del determinismo, l'antropologia spiega come anche un pensiero prodotto da una universita' tedesca, possa essere definito "magico", "credenza". Quello che preme all'autore infatti e' fare comprendere che l'Umanita' non e' una sola, ma si differenzia grazie ai propri luoghi e condizioni di vita. Pensare che solo l'Occidente sia un mondo scientifico anche e' sbagliato: tutti i gruppi sociali hanno una loro scienza veicolata grazie al linguaggio, che ci spiega la loro peculiare e relativa versione del Mondo, e anche grazie alla cura per mezzo della medicina e della storia, sia essa anche solo orale e non scritta.
Noi, primitivi. Lo specchio dell'antropologia
È difficile pensare un'antropologia che si occupi soltanto di «noi»; ma è altrettanto difficile pensare un'antropologia che si occupi soltanto degli «altri». Concepire l'antropologia come un «giro più lungo» che si snoda tra le altre società significa anche prevedere per il «viaggio» etnografico un ritorno. Ma ¡1 ritorno dell'antropologia sul «noi» non è conclusivo e tanto meno definitivo: non è un ulteriore accorgimento per separare noi dagli altri (strumentalizzando ancora una volta il loro sapere a nostro vantaggio); è invece il tentativo coraggioso di collocare noi, e il nostro sapere, in mezzo agli altri, alle loro culture, alle loro forme di vita e di saggezza. Cosi facendo, l'antropologia non si accontenta di gettare anche noi in mezzo al mucchio etnografico, bensì propone vie, percorsi, reti di connessioni, mediante cui riflettere sulle opacità del noi e sulle capacità di qualsiasi noi di aprirsi una strada verso gli altri.
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Autore:
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Edizione:7
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Anno edizione:2009
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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BARBARA BAGATIN 19 maggio 2018
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Il titolo di questo libro è già molto esplicativo: "noi, primitivi". La discussione, egregiamente argomentata, descrive il rapporto fra "noi" e gli "altri", in un contesto filosofico e antropologico. La struttura del libro è molto lineare e ne permette una facile comprensione. Sicuramente è una lettura specifica e dedicata a chi già padroneggia principi di antropologia e filosofia ma, come molte opere antropologiche, regala ottimi spunti per discussioni sul mondo contemporaneo. Per questo, consiglio la lettura, in primo luogo a chi nel campo non avesse ancora letto questo libro, ma lo consiglio vivamente anche a chiunque sia interessato ad ampliare i propri confini conoscitivi sull'umanità.