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Anno edizione: 2015
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Schiavone sei il mio mito!
Un bel romanzo giallo e un solido personaggio a cui affezionarsi: il vicequestore di Aosta, Rocco Schiavone, trasferito da Roma in seguito a un provvedimento punitivo. Ormai da nove mesi Rocco sta cercando di abituarsi al freddo della città, che detesta, quando finalmente arriva la primavera. Con l'arrivo della bella stagione, ecco due casi spinosi per il vicequestore: la morte sospetta di due uomini su un furgone dalla targa rubata e un rapimento. Mi è piaciuta la trama, la narrazione stringata ed efficace in un crescendo di emozioni. Ben disegnati i personaggi. Rocco é di una simpatia, umanità, verosimiglianza disarmanti. Dietro gli atteggiamenti cinici e disincantati che ostenta c'è tutta l'ansia e la paura di un animo sensibile. Insomma, Rocco Schiavone è un personaggio senza zone neutre, o si detesta profondamente o si ama: personalmente, appartengo al gruppo di coloro che amano questo bizzarro personaggio. Si fa leggere volentieri e ti viene voglia di leggere il successivo.
Uno sbirro sui generis, ombroso e stizzoso ma anche ironico e profondamente umano, con il suo abbigliamento antiquato e inadeguato e le sue classifiche delle rotture di balle, il suo trovare delle somiglianze tra persone e animali, i suoi inaspettati gesti di delicatezza. Un personaggio che "buca" le pagine e diventa quasi vero e ti sembra che se vai ad Aosta magari lo incontri al caffè... Il vice questore Rocco Schiavone è una sorta di commissario Montalbano del grande Camilleri. Solo che le sue vicende sono ambientate al Nord, al Aosta. Antonio Manzini ha comunque costruito un personaggio dolente e pieno di umanità che, nonostante la tragedia della moglie scomparsa, riesce ad assolvere al suo lavoro di super poliziotto.
Recensioni
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Era de maggio e te cadéano 'nzino, a schiocche a schiocche, li ccerase rosse. Fresca era ll'aria, e tutto lu ciardino addurava de rose a ciento passe.
Maggio è per antonomasia il mese della rinascita e dei nuovi inizi. Sbocciano i primi fiori, i prati si riempiono di verde e gli innamorati, davanti a immensi tramonti, si giurano amore eterno, proprio come accade negli splendidi versi di Salvatore Di Giacomo sopra citati.
A maggio è così un po’ ovunque, ma non ad Aosta.
Non è stagione ad Aosta: la neve cade ancora sui tetti e quando si scioglie lascia spazio a una pioggerellina sottile e insistente.
Rocco Schiavone è a pezzi, pensava di essersi lasciato alle spalle quei lunghi giorni sempre tristi e tutti uguali. Sono trascorsi diversi mesi dal suo trasferimento forzato ad Aosta, ma il suo malumore si alimenta sempre di più. Pino Daniele parlerebbe di “appocundria”, quella fatalistica accettazione della vita, segnata da una noia esistenziale e da un malinconico distacco per qualcosa di indefinibile che non è, non è stato e non è potuto essere.
È stanco Rocco, non regge più tutto quel freddo e per di più è lontano dai suoi amici, non da Marina però. Lei è sempre viva e il suo ricordo non svanisce mai. A complicargli la vita arriva “l’ennesima rottura di coglioni di decimo grado” - Rocco ha una scala tutta sua di ciò che definisce scocciature - e questa sicuramente le batte tutte: il caso sul groppone.
La famiglia Berguet, ricca borghesia del posto, ha un segreto e il vice questore Schiavone lo intuisce per caso. È scomparsa Chiara Berguet, la loro unica figlia, ma non ne hanno sporto denuncia. Come mai? Cosa nascondono?
Contemporaneamente due uomini con un furgone rubato si vanno a schiantare contro un albero. Si sa poco o nulla delle due vittime, sono due disperati, anelli deboli di un sistema più crudele di loro. Scopriremo in seguito che fra le due storie ci sono delle connessioni molto forti e il vicequestore, in una corsa contro il tempo, dovrà decifrare una tela ingarbugliata, fatta di rapporti e connivenze tra criminalità organizzata, banche e aziende.
Ma non c’è solo questo. C’è un’azione parallela che affianca la storia principale. È il passato di Rocco che bussa ancora una volta alla sua porta, a ricordargli che per lui non può esserci alcuna primavera. È un dolore che non si argina mai, anzi avanza e si fa largo fino all’ultima pagina, all’ultima riga lasciandoci senza parole e con la voglia incredibile di abbracciare Schiavone e stargli vicino, così come si fa con un amico.
Ancora una volta Manzini tratteggia il ritratto di un personaggio unico, sfuggente e dolente. Un uomo vero e complesso, bloccato dal suo passato e vittima del suo destino.
Quello che leggiamo è un giallo ricco di azione, capace di coniugare crimine e passione, lo sguardo più dolente e la risata più sfrontata.
Non ha bisogno di artifici l’autore, non gli servono ghirigori o voli pindarici: la sua scrittura, pulita, secca e lineare punta dritto al cuore. Nessuna retorica e nessuna giustificazione, Rocco è quanto di più umano possa esserci e noi abbiamo ancora bisogno di sentirne parlare.
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