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A circa 25 anni dal loro primo incontro discografico (la colonna sonora del film "Chappaqua"), Glass e Shankar decidono di realizzare un disco assieme ed elaborano un modus operandi davvero particolare: ognuno consegna all’altro due temi affidandogli lo sviluppo e l’arrangiamento degli stessi. Le sei tracce del disco contengono pertanto due composizioni di Glass realizzate a partire dal materiale fornito da Shankar (ed eseguite da musicisti occidentali), due brani di Shankar realizzati a partire dal materiale fornito da Glass (eseguiti anche da musicisti indiani), più due tracce realizzate "normalmente" dai due musicisti. Il risultato è qualcosa di diverso da tutto quello che i due abbiano mai fatto ed il disco appare davvero come appartenente ad entrambi, senza che nessuno dei due prevalga, in una sintesi potente e affascinante. “Offering” è il primo dei due brani in cui Glass arrangia e interpreta Shankar, ed è subito vertigine. La strumentazione è occidentale (archi e fiati in evidenza), ma l’atmosfera richiama chiaramente l’India mentre certe reiterazioni, soprattutto dei violoncelli, richiamano il Glass più meditativo. Quando il brano accelera e aumentano le ripetizioni davvero non si sa più cosa stiamo ascoltando, rapiti da un suono che ci è familiare e straniero allo stesso tempo. Solo nella terza parte del brano la metamorfosi verso lo stile glassiano si compie pienamente manifestandosi in una sezione dove lo stile minimalista prende il sopravvento. Analogamente concepito è “Meetings along the edge” che vede Glass piegare il proprio stile verso un’atmosfera nella quale le intricate melodie di Shankar si insinuano in maniera molto naturale nelle strutture glassiane creando un brano che brilla per la capacità di trascinarci con sé con i suoi ritmi rapidissimi e i suoi contrappunti micidiali. L’altra faccia della medaglia sono i due brani in cui Shankar lavora sui temi di Glass: “Sadhanipa“, (introduzione calma ed evocativa che presto lascia spazio al sitar che ripete, molto minimalisticamente, brevi e semplici frasi melodiche, con gli altri strumenti che dirottano il brano verso suoni decisamente più vicini all’India che agli USA, e “Ragas in minor scale” (con il sarod e il sitar piuttosto vicini all’estetica glassiana e i flauti a remare verso il subcontinente indiano, in una traccia che meglio dell’altra disegna improbabili quanto affascinanti vie di mezzo tra Oriente e Occidente). Restano i due brani autonomi, “Channels and winds” di Glass (classicamente suo) e la conclusiva, bellissima ed inafferrabile, “Prashanti” di Shankar, con un uso delle voci molto interessante nella prima parte e semplicemente entusiasmante nella seconda (dove canta lo stesso Ravi Shankar supportato da S.P. Balasubramanyam), prima con le voci che corrono a velocità folle e poi, nella sezione conclusiva, con ritmi molto più lenti.intonando melodie di estrema delicatezza. Quando la parola collaborazione non è semplicemente un modo di dire.
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