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Pippo Fava, vittima di un vigliacco omicidio eseguito dal clan mafioso catanese di Santapaola, è giornalista e scrittore che continua ad essere attuale. Un'attualità che deriva dal suo afflato civile - non solo caratteristica del cronista ma dell’uomo - e dalla sua devozione assoluta nei confronti della verità e dell’etica della scrittura. Gli eroi delle sue storie romanzate sono un po’ come lui, urlano verità scomode e si ribellano. “Passione di Michele” (la cui trasposizione cinematografica dal titolo “Palermo or Wolfsburg”, su sceneggiatura dello stesso Fava, vinse l’Orso d’Oro al festival di Berlino) è una storia di emigrazione – il calvario laico di un diciottenne che lascia Palma di Montechiaro per lavorare in fabbrica in Germania. Michele Calafiore, il protagonista che vuole aiutare la famiglia da lontano e prova a riscattarsi dalla Sicilia più profonda, passa non indenne attraverso alcune esperienze: corteggia il “benessere”, ne resta sedotto, prova a scoprire il sesso e si fa ingannare dall’amore, restando infine invischiato in un delitto (una “Cavalleria Rusticana” riadattata) e in un processo grottesco. Restano le parole di Michele («Io non ho padroni. Vaffanculo, io non ho padroni») e quelle del padre Turi: «Un uomo povero, il quale non possiede niente, né la terra o la casa, e nemmeno il lavoro, ha solo la sua dignità che sono i suoi sentimenti e se qualcuno cerca di levarglieli anche quelli, allora è come se gli levassero tutta la vita...».
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