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Due biografie intrecciate dall’autrice, che visita i luoghi percorrendo gli spazi delle case e dei laboratori di entrambi gli artisti. Si parla di William Morris [1834-1896] e Mariano Fortuny [1871-1949]. […] Byatt ricostruisce una vita che si fa all’interno di uno spazio che è allo stesso tempo domestico e di lavoro, per ritrovare lo spirito di un artista-artigiano che sa dare alla scrittura e alla pittura un ruolo sociale. È già il concetto moderno di “arte come design”. […] Morris e Fortuny non sono pittori ma disegnatori e “designatori” di un gusto che sta al posto del lusso e che vuole far perdere progressivamente, a ciò che ora chiamiamo design, l’aggettivo industriale in cambio del “new artisan”. Byatt mette in luce le loro più evidenti differenze: l’amore incondizionato di Fortuny per la musica di Wagner era come fumo negli occhi per Morris. Il Nord dei ghiacci dell’Islanda piaceva a Morris e il Mediterraneo greco arabizzante a Fortuny. Fra i due c’era una differenza di 37 anni di età, ma Byatt sostiene abbia creato tra i due un segno di continuità o suggestione, come è stato letterariamente tra Ruskin e Proust. Però il vero nodo che unisce l’espressione decorativa di Morris e di Fortuny è un frutto, rappresentato in maniera emblematica da Dante Gabriel Rossetti nelle mani della moglie di Morris in veste di Proserpina. Il pomo del melograno ricorre continuamente nell’intreccio dei disegni dei due maestri: è presente al punto da costruire il capitolo centrale della narrazione. La ricerca visiva e letteraria di Byatt, che si concentra sugli effetti di inviluppo e crescita dei disegni tanto di Morris quanto di Fortuny, scopre inoltre la presenza di un uccello terrestre, il pavone dalla voce stridula e quasi umana. […] Tutte queste forme di ricerca, di disegno e fabbricazione, in Morris quanto in Fortuny, sono allo stesso tempo originali e seriali. E questa è infatti la cifra dell’arte contemporanea, che nell’età della riproducibilità può ancora proporre l’irriproducibile. […].
Recensione di Manlio Brusatin.
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