La peste scarlatta

Stati Uniti, California, baia di S. Francisco. Un vecchio e un ragazzino vestiti di pelle d'orso camminano attraverso la foresta che ha distrutto una vecchia ferrovia. È questa la prima immagine evocata da "La peste scarlatta" di Jack London, romanzo ambientato in un futuro post apocalittico in cui il genere umano è stato degradato a uno stadio primitivo a seguito di un'epidemia incontrollabile, la morte scarlatta. Il libro è costruito su un lungo flashback, in quanto l'uomo, uno dei pochi superstiti, racconta ai nipoti la sua triste esperienza e spiega loro come fosse il mondo prima dell'arrivo della peste, sottolineando certi aspetti del passato e creando un espediente per indurre il lettore a confrontare la meravigliosa era civilizzata di un tempo con quella primitiva e priva di civilizzazione, e a riflettere su di esse. Il vecchio mondo moderno e tecnologico era davvero migliore di quello nuovo? Era il 2013, l'era delle macchine a motore, dei dirigibili, delle aeromobili, della comunicazione via radio e dei telegrammi, quando la civilizzazione e il lavoro dell'uomo vennero spazzati via dalla forza della natura; un'epidemia fu sufficiente a cancellare in un batter d'occhio ciò che la razza umana aveva costruito in secoli di storia. Ed è proprio questo che rimpiange il vecchio, "la strabiliante bellezza e l'ineguagliata meraviglia dello stato civilizzato", in quanto, sopravvivendo, è stato condannato a vivere e a resistere in un mondo totalmente diverso da quello che conosceva. Decide di raccontare ai nipoti del progresso e delle scoperte che l'uomo aveva raggiunto prima della peste, nella speranza di accelerare il processo di civilizzazione; cerca anche di insegnare loro a leggere e a contare, ma i nipoti si rivelano totalmente indifferenti e addirittura lo ritengono un vecchio pazzo che farfuglia cose senza senso.