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La lettura di questo romanzo libro mi ha tenuto occupato in questo passato fine di settimana. Era un libro di cui sentivo il bisogno. Mi spiego: ormai è pressoché scontato che un romanzo sia scritto in forma piana, con un uso abbastanza scontato della lingua: ciò ancor più se si tratta di libri stranieri, laddove il traduttore non avrà certo il coraggio di ricercare stranezze o arditezze linguistiche. Io che sono lettore ingordo, da un pò avvertivo il fastidio di una tale omogeneizzazione ("sempre pernice" obbietta il Cardinale al re che lo invita a pranzo per la ennesima volta: e "sempre la regina" replica il re al Cardinale che lo rimproverava per la scappatelle amorose), tanto che, per ricordarmi che è possibile scrivere diverso, di tanto in tanto rileggo Gadda, o le cose migliori di Busi, che ormai conosco (quasi) a memoria. E mi è piaciuto assai incontrare una scrittura più ricercata, o meglio, un'autore che si diverte a giocare con la lingua. Forse qualcuno lo accuserà di manierismo, o peggio di barocchismo: vuol dire che non ha capito. Perché trovo che quel giocare con l'italiano, con una scrittura in fondo assai poco commerciale, forzandolo ad andare oltre la lingua comune, è finalizzato ad accompagnare il lettore nella migliore comprensione e gradimento della storia (storia di per sè tutt'altro che banale), come Gadda, appunto. Anche se, a differenza di Gadda, i periodo sono brevi e scanditi. E anche questo è un merito che ascrivo all'autore: non perchè io non ami i periodi lunghissimi del Carlo Emilio, ma perché trovo saggio, in un'opera prima, non osare l'inosabile. Un romanzo di formazione, piacevole, dove il protagonista, forse un pelino troppo naif, affronta, nella seconda parte, un lungo viaggio attraverso l'europa dell'est (belli i passi su Praga) . Deliziosa, anzi, deliziosamente ironica, infine, la conclusione.
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