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Con un'esauriente prefazione di Nicola Crocetti, escono da Einaudi tutte le poesie di Costantino Kavafis: le 154 canoniche, più una quarantina di inedite ed alcune prose. La prima edizione italiana del corpus poetico del poeta alessandrino risale al 1961, quando Filippo Maria Pontani presentò ai lettori italiani un'antologia di testi accompagnati da un'egregia traduzione. La versione di Crocetti appare parimenti fedele e attenta, tesa a rendere soprattutto l'eleganza musicale della lingua di colui che rimane, dopo circa un secolo, il più grande e conosciuto tra i poeti ellenici. Costantino Kavafis nacque ad Alessandria d'Egitto nel 1863, e vi morì nel 1933: nella sua città condusse una vita ritirata e modesta, lavorando per trent'anni come impiegato part-time al ministero dei Lavori Pubblici. "Poeta vissuto ai margini di tutto", scrive Crocetti: "dell'impero geografico e delle lettere, della vita sociale e professionale, dell'editoria e della critica". Eppure, i suoi versi hanno mantenuto nei decenni un fascino e un richiamo costante per la loro nitida classicità, e per l'intensità delicata e sensuale con cui esplorano ogni aspetto dell'esistere. A partire proprio dall' amatissima città natale, raccontata nel suo mare e nei suoi vicoli, nei caffè e nei bordelli, negli odori e negli incontri fugaci con i ragazzi amati. Oltre all'amore omosessuale, domina in tutta la sua produzione poetica una considerazione orgogliosa ed esaltante della storia antica, dei personaggi che hanno celebrato con le loro imprese o con l'arte la grandezza della civiltà ellenica. Lari privati ed Erinni pubbliche, sovrani e tiranni, guerre e processi, vittorie e sconfitte: tutto torna, dal palcoscenico della storia, a riverberare nella coscienza ulcerata e pietosa di chi scrive: "Accadranno/ le stesse cose, accadranno di nuovo -/ gli stessi istanti ci trovano e ci lasciano".
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