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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2012
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Una raccolta delle testimonianze di persone comuni che hanno vissuto e convissuto con il disastro di Cernobyl', aggravato dall'inefficienza della nomenklatura comunista. Davvero molto emozionante.
Questo libro mi ha talmente scossa emotivamente che non so da dove iniziare a parlarne... Il genere è uno dei miei preferiti, viene definito "romanzo-testimonianza" o "il popolo si racconta". Sono testimonianze del "popolo di Černobyl'", di tutte quelle persone che dopo il disastro nucleare hanno perso la vita, la famiglia, la terra, la normalità ed il futuro. L'unica cosa che gli è rimasta è la morte ed il vuoto. Per focalizzare e comprendere a pieno le testimonianze ci vuole del tempo, perciò è una lettura che va affrontata a piccoli passi. Ogni testimonianza apre una voragine dentro da cui scaturiscono molte riflessioni... La struttura, è particolare: dopo le informazioni storiche che sono gli articoli pubblicati quando è avvenuta la catastrofe nucleare, il libro comincia con una "voce solitaria". Una giovane donna, il marito della quale era stato uno dei primi vigili del fuoco ad intervenire per spegnere le fiamme dell'esplosione. La prognosi per la sindrome acuta da irradiazione è di 14 giorni e la donna ci racconta il calvario suo e del marito, di quegli ultimi giorni di vita di lui. Černobyl' le ha portato via il compagno tanto amato, il futuro e la speranza, lasciando solo un grande vuoto incolmabile. Poi ci sono 3 capitoli dedicati al coro: dei soldati, del popolo e dei bambini. Il libro si chiude con un'altra "voce solitaria" altrettanto toccante, come la prima. Ciò che colpisce molto è un concetto ribadito più volte dai vari testimoni: la guerra è un qualcosa che si può vedere e dalla quale ci si può proteggere e salvaguardare mentre la radiazione non si vede, la terra ed i suoi frutti restano tali e quali. Come si fa a spiegare ad un popolo prevalentemente di contadini cos'è la radiazione e che devono lasciare le proprie case, il proprio bestiame e le proprie terre? Questo libro è per coloro che hanno voglia di sentire la vera versione della storia, quella vissuta dal popolo e non quella raccontata nei giornali e dai politici.
L'autrice è stata in grado di portarci nelle zone colpite dall'incidente. È stata in grado di trasmettere i sentimenti e le emozioni delle persone intervistate. La ritengo un'ottima lettura per comprendere questa tragedia sotto un profilo umano e non meramente scientifico.
Recensioni
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The best of. Una collana con gli autori più rappresentativi, riproposti in edizione rilegata con sovraccoperta elegante e colorata. Forma a parte, però, è la sostanza che conta. Le edizioni e/o hanno lanciato i primi otto titoli di una collana, “Le cicogne”, che è la summa del laboratorio e della produzione con cui è stato costruito un catalogo quasi quarantennale, capace di spaziare in tante aree geografiche e di lanciare in Italia autori grandissimi. Un esempio valga per tutti, quello di Svetlana Aleksievic, premio Nobel per la Letteratura 2015, con il suo Preghiera per Cernobyl (304 pagine, 12,90 euro), che le edizioni e/o pubblicarono con la traduzione di Sergio Rapetti nel 2004, tre anni dopo il debutto in lingua originale. E che ora rilanciano come primo titolo di una collana celebrativa sì, ma che prima di tutto definisce un’anima, la scorza di una casa editrice coerente e indipendente, italianissima, ma a forte vocazione internazionale.
Di quello che avvenne il 26 aprile 1986 nella centrale nucleare di una città allora sovietica è stato scritto di tutto. La scrittrice e giornalista bielorussa, però, è andata oltre. Raccontando non conseguenze, cause e colpevoli, ma rigorosamente l’incidenza della catastrofe e i sentimenti connessi, non semplicemente osservando, ma dando voce al dolore e al non capacitarsi di chi fu investito dal disastro, intervistando uomini e donne di età, speranze, mestieri totalmente diversi. Tutti travolti da quella religione di Stato che nell’Urss comunista era più forte dell’ateismo, ovvero la devozione cieca e totale per la scienza e i suoi progressi. Se qualcuno dopo tre decenni avesse dimenticato quel disastro, questo libro ne ricorda umanità e disumanità e racconta, come un perfetto lungo reportage, una terra ancora infestata dalle radiazioni, che andò alla deriva significativamente, simbolicamente qualche anno prima dell’impero rosso.
Il dolore semplice degli ultimi è quello che colpisce di più, quello che scava lentamente negli occhi di chi legge: storie minime di soldati, operai, vigili del fuoco, “liquidatori” (chiamati a decontaminare la zona nei primi anni), poveri contadini fatalisti, di gente ignorante, che si affidò al caso, che non ebbe informazioni e si limitò a fidarsi di politici e scienziati locali, di gente che ripeteva precauzioni inutili (lavare bene le mani prima di mettersi a tavola) che gli etrano state raccomandate, o che disse di continuare a occuparsi dei campi, pur di non interrompere la produzione agricola; storie minime di chi spense l’incendio del reattore ignaro dei rischi, che per denaro o riconoscimenti sociali andò incontro alle scorie radioattive. L’ossessione della segretezza che tutto travolse all’epoca ebbe la meglio. Aleksievic strappa il velo dell’ipocrisia, prendendosi carico dell’orrore della sua terra, al confine fra Ucraina e Bielorussia. Preghiera per Cernobyl, con la sua serie di monologhi, è un misto di realismo e romanzesco, che prende forma grazie a un linguaggio che si piega a seconda del momento, virando ora verso una prosa lirica, ora verso un andamento giornalistico.
L’autrice scompare dietro le testimonianze. Aleksievic non si inquadra come tanti ingombranti (e importanti) autori di oggi. E s’immerge in un paesaggio post-apocalittico reale, non quello di tanta fiction. Percorre la campagna e i boschi nella zona attorno al reattore, e col bisturi della sua scrittura scoperchia, tra sofferenza e dignità, le menzogne e la reticenza criminale del sistema sovietico sul disastro, sui danni immediati e su quelli a lungo termine, permanenti.
Recensione di Arturo Bollino
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