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Amy Hempel è una scrittrice che bisogna proprio leggere, la sua prosa è fantastica e i racconti così spiazzanti che si possono solo amare. Figlia di quella stessa America che ha dato i natali a Carver, è altrettanto minimalista così che le sue storie sono piccoli cammei di una quotidianità tanto misera quanto reale. Badate bene, non si tratta di un bieco tentativo di imitare un grande scrittore, no Amy Hempel scrive in un modo tutto suo, racconta storie che le appartengono (moltissime, ad esempio, le protagoniste femminili) ed è brava come una grande scrittrice deve essere. Non la conoscevo, ma con questa raccolta me ne sono innamorata.
Il libro contiene 48 racconti, che sono molto essenziali e incisivi, la scrittura mi ricorda molto quella di Carver cioè molto “chirurgica” , non ci sono parole in più anzi, tutto è ridotto all’essenziale.
Recensioni
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Gli ottantacinque anni, festeggiati solo qualche giorno fa, hanno riportato d’attualità il nome del controverso Gordon Lish, editor minimalista, la cui notorietà, almeno in Europa, in Italia, deriva dalle sforbiciate che hanno stravolto (alcuni sostengono in meglio) alcuni dei più noti racconti di Raymond Carver, ripubblicati poi in versione originale per volere della vedova. Un’altra notissima autrice che si è affidata alle cure di Lish, anzi che presso di lui ha studiato in ambito universitario è Amy Hampel, classe 1951. Non manca di mai di dire come debba tutto o quasi a Lish, ma la sua parabola letteraria, iniziata sotto le insegne di un minimalismo estremista, ha anche avuto un’evoluzione e una svolta nel corso dei decenni, fino al libro più recente, ormai di oltre un decennio fa, in cui il minimalismo è aggiornato, superato, in certi casi sventrato. Una tendenza che potrebbe avere uan sterzata ulteriore nella prossima raccolta di racconti che è di imminente pubblicazione negli Stati Uniti.
La casa editrice Sem, intanto, rilancia Ragioni per vivere (377 pagine, 14 euro), collezione completa delle sue precedenti quattro raccolte di racconti (intatta la traduzione di Silvia Pareschi, quella della prima edizione italiana del libro, per Mondadori), che prende il titolo dalla prima, la più veracemente minimalista, concepita e pubblicata nel cuore degli anni Ottanta: non una parola fuori posto in racconti brevi, controllati, dalla prosa raffinata, che spesso inquadrano ciò che di indecifrabile o sorprendente c’è nella quotidianità. Hempel segue i dettami minimalisti (forse ricordando più Grace Paley che Carver) con un virtuosismo che fa sgranare gli occhi, anche nei testi più concisi e limati, ridotti all’osso, poco più di mezza pagina o, nei casi estremi, anche solo qualche riga. Non c’è solo stile, però, nelle storie brevi di questa scrittrice americana, che meriterebbe una più larga consacrazione, specialmente fuori dal confini a stelle e strisce.
La voce narrante è sempre in prima persona, sempre femminile, sempre senza nome. L’andamento dei racconti può essere poco rassicurante o criptico, improvvisamente possono affiorare il nulla o l’incomprensibile, la malattia o la solitudine. Nella maggior parte dei racconti il distacco e la neutralità dello sguardo sono magistrali, i gesti prevalgono sulle parole, eppure i racconti hanno la capacità di scavare dentro al lettore, nonostante siano spogli di descrizioni e di aggettivi e spesso di un andamento cronologico lineare, che si nutre di una memoria frammentaria.
Ormai Hempel guarda da lontano la California, ha lasciato il Pacifico da tempo e vive di fronte all’Atlantico, ma è principalmente quella la terra dei suoi racconti, sono quelli i luoghi che le hanno ispirato i suoi racconti intrisi di humour nero, di spiritualità tout court, di vuoti da colmare, di perdite inaccettabili, di dettagli palpabili, racconti scritti in quel modo diretto ed efficace, senza gli ambiziosi e noiosi preamboli di altri scrittori, anche di racconti. Un’esperienza da vivere.
Recensione di Micol Treves
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