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Lo si legge quasi ogni giorni sui giornali: gli storici, con le loro critiche sulle fasi fondanti dello stato italiano e sui processi di nazionalizzazione, avrebbero contribuito più a dividere che a unire il paese e continuerebbero a ostacolare l'elaborazione di un'identità nazionale comune. In un contesto politico-ideologico come quello attuale, così pervaso da volgari usi pubblici della storia e da costanti appelli a una presunta riconciliazione nazionale, non si può non salutare l'ultimo, corposo contributo di Mirco Dondi sulla storia del movimento resistenziale come una preziosa boccata d'aria fresca e pulita. Innanzitutto per la chiarezza, l'equilibrio e la precisione con cui affronta un problema assai controverso e discusso come quello dei rapporti fra unità e conflitto nella Resistenza. Tutte le forme adottate nel campo politico antifascista per descrivere la guerra combattuta dalla Resistenza, almeno fino alla seconda metà degli anni sessanta, insistono infatti sull'unità, spesso confusa con unanimità. "Guerra di liberazione" (con la desinenza comunista di "guerra di popolo") e "Secondo Risorgimento" sono infatti costrutti teorici che nascondono, per anni, i contrasti interni all'antifascismo e le fratture politico-sociali prodotte dalla guerra civile nell'Italia del centro-nord. Non si tratta solo di retorica celebrativa, ma anche di interpretazione storiografica: si pensi, solo per citare un esempio, al testo classico, e certo ancor oggi importante, di Roberto Battaglia, in cui contrasti e contraddizioni sono sublimati dal succedersi degli eventi della "guerra di popolo".
Contro questo mito unitario - già a suo tempo criticato da Claudio Pavone e da Guido Quazza - Dondi propone la visione di un'unità costantemente negoziata e conflittuale, in cui risiede la ricchezza ideale della Resistenza, ma anche la sua intrinseca debolezza. Forte di un ricchissimo scavo documentario, l'autore - utilizzando la lente d'ingrandimento della turbolenta realtà piacentina - si cimenta in un complesso lavoro di sintesi delle dimensioni conflittuali che attraversano tanto la sfera politica quanto quella militare del movimento resistenziale: dalle frizioni fra Clnai e gli alleati o il governo di Roma sino allo scontro di impostazioni e di potere all'interno del Clnai e del Cvl; dai conflitti tra il personale politico e i militari di carriera o di origine partigiana sino alle differenti visioni strategiche, politiche e operative che contrappongono le formazioni partigiane.
In tale accurata ricostruzione della complessità e varietà conflittuale della Resistenza in Italia si racchiude anche il secondo merito del volume, quasi una lezione di deontologia e di passione civile. Non è forse la paura di leggere il passato - scrive infatti l'autore - che porta alla mediocrità di riferimenti piatti e indistinti? Spetta alle classi dirigenti esprimere quei valori da cui prenderanno forma differenti composizioni dell'identità nazionale. Lo storico "deve solo aiutare a comprendere il passato senza veti censori". Un mestiere difficile, che Dondi conosce molto bene.
Francesco Cassata
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