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«Il male si era annidato nelle pieghe più fragili della mente degli uomini, stringendo il cuore in un cuneo di ghiaccio. Aveva contaminato buoni e cattivi. Era diventato una febbre, una sbornia, un cibo. Era diventato una nuova conoscenza». Fu un conflitto fratricida, che mise gli uni contro gli altri vicini di casa, amici e persino parenti stretti, quello che si consumò a Srebrenica venticinque anni fa, quando oltre ottomila persone, appartenenti all’etnia dei bosgnacchi (slavi musulmani) furono trucidate e gettate in fosse comuni senza che l’Onu intervenisse. Questo scenario di tragedia apocalittica, che ha segnato il più atroce episodio di guerra della storia d’Europa dopo la fine del secondo conflitto mondiale, fa da sfondo alla vicenda di Marisol Starcevic, ragazzina dai poteri sciamanici, figlia di un militare serbo e di una cubana. Il filo conduttore appare essere quello della perdita di punti di riferimento, del sovvertimento dei valori sociali e della resistenza individuale di fronte a catastrofi che sfuggono al controllo razionale. Così, in questo romanzo scritto con il linguaggio lieve e impastato di nostalgia tipico della narrazione sudamericana alla Marquez, costruendo una saga familiare che attraversa gli oceani e le generazioni, l’autore ci conduce, pian piano, alla storia di Marisol, facendoci guardare coi suoi occhi cosa succede all’essere umano quando si devia dall’ordine naturale delle cose. E lei, fragile e bellissima come una farfalla, soprannominata la «Salamandra» per la malattia che le rende la pelle estremamente vulnerabile, tanto da non poter ricevere neanche un abbraccio senza rischiare di ferirsi, ci parla di spiriti e di forze soprannaturali, di donne «santere» e di uomini duri, immergendoci, pagina dopo pagina, in un mondo a soqquadro, dove la parola d’ordine diventa «rat» (guerra) e la paura ha l’odore rancido di un effluvio pestilenziale. Una trama fitta di piccole storie quotidiane che si aggrappano a leggende di generazioni passate, la narrazione tocca punte di poesia, con immagini commoventi, come quella del primo bacio di Marisol. «Ibrahim finì per soffiarle delicatamente l’alito nella bocca semiaperta. Per un po’ restarono a occhi chiusi e con le bocche quasi unite, respirando l’una il fiato dell’altro. Quei soffi di vita attizzarono il fuoco già alto nei loro cuori».
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