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Somiglia ad un giallo ma senza una vera e propria risposta. La storia di una scomparsa di un fisico illustre dell'epoca fascista rivela dei meccanismi storici poco chiari.
Riletto a distanza di decenni nell’edizione Einaudi del 1975, conserva il fascino della ricostruzione di un mistero irrisolto all’interno dello scenario drammatico che anni dopo avrebbe portato devastazione e la morte di molte migliaia di civili giapponesi; ricostruzione che si apre con chiose beffarde dell’Autore sul linguaggio involuto dei verbali di polizia dell’epoca – punzecchiature che oggi ci si aspetta da un conterraneo di Sciascia, Andrea Camilleri – e che, sul filo di ipotesi suggestive, si conclude enigmaticamente fra le mura di un convento certosino.
Che Sciascia mi piaccia - così come il suo sodale Bufalino - non è certo un mistero: lo si capisce dalla frequenza delle mie recensioni, a maggior ragione per il fatto che difficilmente leggo a breve distanza più libri dello stesso autore. Le ragioni per cui mi piace sono - credo - le stesse per le quali è amato da tutti coloro che lo avvicinano con mente libera: la fiducia testarda nella ragione umana, la fedeltà a uno stile limpido e ricercato pur nella varietà dei temi trattati, la ricerca paziente e instancabile della verità, l'amore tormentato per la propria terra d'origine, la Sicilia, vista quasi come centro del mondo. Queste caratteristiche si ritrovano tutte ne "La scomparsa di Majorana", opera pubblicata nel 1975 prima a puntate sul quotidiano torinese "La Stampa" poi in volume. Come spesso in Sciascia, ogni definizione sarebbe riduttiva: saggio, inchiesta, romanzo sarebbero etichette corrette, ma incapaci di esaurire la ricchezza di queste poche decine di pagine. Preferisco, provocatoriamente, la definizione di "enciclopedia", purché si usi il termine nel suo senso più letterale: tentare di racchiudere qualcosa in un cerchio. E in fin dei conti dire che ciò che Sciascia vuole racchiudere - cioè capire - sia la risoluzione del mistero della fine prematura del grande fisico siciliano Ettore Majorana (1906 - 1938? suicidio o fuga dal mondo?) sarebbe forse a sua volta riduttivo. Mi pare che la posta in gioco sia più alta: capire - tramite l'exemplum della vicenda in oggetto - che cosa sia un genio, che cosa sia la scienza, che cosa siano la letteratura e l'arte, quelle strane cose che spesso anticipano la scienza e il futuro. "Prediligeva Shakespeare e Pirandello" (esergo del libro, p. 11) P.S.: Chissà se Majorana aveva letto la pagina finale de "La coscienza di Zeno" di Svevo?
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