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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2015
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Mai più attuale
Ho letto questo Libro a venti anni, forse un po' tardi ma secondo me è l'età giusto per capirlo pienamente. La lettura di questo Libro è fondamentale, non si può vivere senza averlo letto. Lo consiglio soprattutto a tutti coloro che pensano che nazismo e fascismo abbiamo fatto anche cose giuste. La cosa che più mi ha colpito è il fatto che Primo Levi, che rappresenta tutti i prigionieri, riesce sempre a pensare di essere fortunato, che c'è sempre qualcosa che possa andare peggio. Ma cosa può essere peggio di vivere all'inferno? Per questo motivo, e mi rivolgo soprattutto ai più giovani, non lamentiamoci, non abbiamo il diritto di farlo.
Una lettura forte e, in certi punti, difficile da sostenere, per la forte emotività che suscita il libro più noto di Primo Levi. Ho letto “Se questo è un uomo” da studentessa delle superiori consapevole di ciò che è accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale, ma mai mi sarei aspettata di avere a che fare con la grande capacità narrativa di uno scrittore della levatura di Levi. Ho apprezzato moltissimo il suo essere oggettivo e scientifico, pur descrivendo le mostruosità del Lager, perché, come d’altronde dice lui stesso, per conservare la memoria di quello che “è stato” noi lettori, che siamo i “giudici” del suo libro, dobbiamo essere consci di ciò che è accaduto dentro al campo. E Levi ce lo dice, pagina dopo pagina, raccontando tutto ciò che riguarda la sua persona e gli altri Haftlinge con cui è venuto a contatto, dalle puntuali selezioni per i forni crematori in “Piazza dell’Appello” (così Levi chiama lo spazio antistante i Blocks), al momento del rancio, dove pure una fetta di pane in più o in meno può decidere la sopravvivenza di un uomo anche di un solo giorno in più; alle condizioni di “lavoro” dei prigionieri, al momento delle docce, in cui ogni prigioniero si sente spogliato della propria dignità, del suo essere uomo... Il libro di Primo Levi è davvero molto potente, perché fa vedere tutto con L’occhio critico dello scienziato, e in particolare del chimico, e, nonostante non ci sia quella “foga” letteraria che è presente invece in molti altri romanzi scritti dai sopravvissuti di quel tempo, arriva dritto al cuore e alla memoria del lettore. “Che appunto perchè il Lager è una gran macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare, che anche in questo luogo si può sopravvivere, e perciò si deve voler sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere è importante sforzarci di salvare almeno lo scheletro, l’impalcatura, la forma della civiltà”
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