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Settembre 1972

Descrizione


«Settembre 1972» è un romanzo in versi che racconta in 99 istantanee la storia di un amore, dal suo prologo al suo epilogo. Pubblicato per la prima volta nel 1988 in Ungheria, le copie vennero esaurite in tempi brevissimi e il libro divenne un caso letterario. Una donna e un uomo si conoscono, si innamorano, si sposano, hanno un figlio e poi si separano perché la donna non può vivere con l'uomo, che anche lei ama, ma non sopporta di essere proprietà di un solo uomo, anche se è padre del loro figlio. Il testo racconta minuziosamente i fatti. Il primo incontro, i primi amplessi, le prime gelosie e i primi tradimenti, di lui e di lei. Poi segue la storia della separazione fisica e spirituale. «Settembre 1972» è uno dei testi più originali e più geniali della letteratura contemporanea ungherese. Il ciclo di poesie di Imre Oravecz descrive tante donne, ma solo un desiderio, quello che ci spinge verso l'oggetto del desiderio, verso l'unica donna.
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Dettagli

2
2019
30 maggio 2019
132 p., Brossura
9788889076446

Valutazioni e recensioni

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Settembre 1972 - Imre Oravecz Un libro veramente particolare: dalla seconda di copertina "è un romanzo in versi che racconta in 99 istantanee la storia di un amore." Infatti ogni pagina inizia con un titolo che si fonde poi con una lunga frase, un lungo periodo con un solo punto finale. Una specie di monologo dove il Lui si rivolge a una Lei mai nominata. E' un grande e profondo amore che, come talvolta succede, dura in eterno; ma che è anche, come talvolta succede, un amore impossibile, un amore che rischia di soffocare uno dei due, un amore a un senso unico. Bellissimo, è un libriccino di 126 pagine che va letto con lentezza, assaporando le parole, metabolizzando il dolore. Solitamente non amo gli "amori impossibili", forse perché non ci credo veramente (e sicuramente sbaglio); questo però, forse per il modo in cui è scritto, ti rende partecipe, così partecipe che in certi momenti sentivo quasi la voce dello scrittore. "....e non ci sarà più né passato, né presente, né piacere, né sofferenza, e non ci sarai nemmeno tu, perché non vorrò che tu ci sia, ci sarà solo un futuro, bello e impietoso." chelibro chelibro chelibro

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Voce della critica

Che storia eterna e universale ha scritto l’ungherese Imre Oravecz! Due destini come tanti di quelli che ci piombano addosso, vediamo in giro, interpretiamo o abbiamo interpretato. Vita, morte e miracoli di un amore, si potrebbe dire. Prima un dolore atroce, quello della fine del matrimonio, poi una graduale accettazione. Il risultato, pubblicato dalle edizioni Anfora, è Settembre 1972 (132 pagine, 15,50 euro), nella bella traduzione di Vera Gheno: l’originale risale al 1988. Un libro che in terra magiara è stato accompagnato da totale entusiasmo. A ragione.

Toccano il cielo e toccano il fondo i protagonisti di questo romanzo di Oravecz che sarebbe forse meglio definire un poemetto narrativo. Dalla passione alle nozze, dalla meraviglia di diventare genitori ai tradimenti e all’epilogo della separazione, prima inammissibile e sofferta, poi conclamata e incassata.

«… cosicché tu sei ormai per me tutte le donne che sono state, e tutte le donne mi lasceranno definitivamente se tu mi lasci»

«… ti dimenticai completamente, e diventasti del tutto astratta, insensata, come una parola in disuso che ancora ripeto ma ormai non so cosa significhi»

«… e c’è da temere che ne rimanga sopraffatto, e allora davvero sarò tale e quale mio vedi, allora sarò come te»

Sprazzi brutali e lirici, concreti e sognanti si susseguono, quelli dei grandi amori impossibili e perduti. Brevi paragrafi lunghi mezza paginetta, una o poco più, in cui il punto arriva solo alla fine. La cronologia non è lineare. La malinconia totale, un filo rosso, una patina che non va via nemmeno nei momenti belli. Un io che narra e che si rivolge a un tu (ma è davvero sempre lo stesso?), un caos di ricordi, sentimenti che accecano e che abbattono, infine.

Il lungo addio dalla felicità al rancore è un percorso di enorme difficoltà, un limbo di apatia da cui non è facile riemergere, è una sfida lunga di pensieri fissi (dove sarà? ci incontreremo? con chi sta? ci sono speranze di riconciliazione? arriverà una telefonata? una lettera?) come fosse un percorso di disintossicazione da una dipendenza, una battaglia psicologica giornaliera, narrata a cuore nuda, senza maschere di forza, ma con estrema debolezza e lucidità, con punte di depressione, di delirio, da anima in pena. Anche quando inizia a frequentare altre donne, s’afferma come scrittore, deve occuparsi del figlio frutto di quel grande amore.

Il libro, intimo e commovente, consta di una novantina di fotografie, annotazioni di una sofferenza in cui non è difficile riconoscersi. Sono moti dell’animo così condivisibili che il rischio di bagnarsi di cliché è concreto, anche se Oravecz apre un ombrello ampio. Senza banalizzare tutto, senza passaggi a vuoto: il lettore potrà godersi un volumetto compiuto, emozionante, fatto, come la vita vera, di speranze e umiliazioni, di rabbia e di fuoco che non vuol spegnersi, quando l’amore finisce.

Recensione di Arturo Bollino

 

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