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Anche se la scrittura e certo lessico denunciano chiaramente i sessanta anni che sono trascorsi dalla pubblicazione sul Corriere della Sera di questi brevi racconti, non si può non sentirvi il gusto dell'Italia del primo dopoguerra sia nei temi che nell'ironia sottile e nel lieve surrealismo, che è simile per certi versi a quello di Palazzeschi o Landolfi. C'è un'altra cosa che si sente forte e chiara, ed è la personalità eclettica di Savinio, un uomo dai mille nomi: quello vero – Andrea De Chirico –, lo pseudonimo con cui scrisse questa e diverse altre opere, vari pseudonimi che usò negli anni delle prime produzioni, e poi il signor Dido, che in fondo è Savinio stesso. Eclettismo che si sente nei racconti e che ha permeato l'intera esistenza dello scrittore e del fratello pittore Giorgio, di poco maggiore di lui ed altrettanto eclettico. Le atmosfere surreali sono delicate e teatrali, i racconti son come bozzetti che ritraggono momenti della vita del signor Dido (quelli a tema familiare, con il signore e la signora Dido attorno al tavolo da pranzo o in casa con i due figli, sono straordinariamente e piacevolmente simili a certi racconti del Corrierino delle Famiglie di Giovanni Guareschi, e sono specchio di un'Italia semplice, genuina e popolare che purtroppo non c'è più). A piccole frasi il signor Dido parla di se stesso e della propria vita, racconto dopo racconto, e così lo si impara a conoscere, nelle sue piccole manie, nei suoi umanissimi difetti, nelle stravaganze e nel difficile rapporto col mondo che lo circonda, un mondo sempre in movimento, che Dido non riconosce più, non sente più suo ma della generazione dei suoi figli. Una parte importante hanno i sogni, lunghi o brevi che siano, astrusi o di chiara interpretazione (bellissimo quello con l'imperatore Onorio e la presa di Roma da parte dei barbari), ma tutti ugualmente presaghi di un futuro che porterà – per scelta – il signor Dido a ripetere, tale e quale, la leggenda della scomparsa di Empedocle. Si potrebbe pensare che il tono dei racconti sia greve e triste; così non è, perché il sorriso affiora spesso sulle labbra del lettore, stupito dall'intelligenza e dall'arguzia di certe frasi, certi termini, certe piccole brevi scene. Leggete Alberto Savinio, vi incanterà.
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