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La vita d'una persona consiste in un insieme d'avvenimenti di cui l'ultimo potrebbe anche cambiare il senso di tutto l'insieme. (Italo Calvino, Palomar.) In Italia per completare la sua tesi sui contatti ungaro-italiani nel medioevo, il dottorando ungherese protagonista del racconto di Andràs Bistey si imbatte, per una scabrosa coincidenza, nel sogno nel cassetto di ciascuno di noi. Quattrocento milioni delle vecchie lire, cifra spropositata e disarmante. Questo potrebbe essere, riprendendo Calvino, l'avvenimento che cambierà la sua vita di prima e di poi, così come il senso di tutto quanto. O forse no. Autore ungherese che scrive in italiano, Bistey inciampa sui tempi verbali, ostacoli alla lettura che ne esce talvolta appesantita. Nonostante manchi di quella padronanza della lingua che dona al tutto fluidità e scorrevolezza, il risultato è complessivamente gradevole e coinvolgente. La linearità della trama è condotta tramite un susseguirsi di scene molto particolareggiate, colorate di piccole azioni finemente descritte con un vocabolario ricco e ricercato. L'autore ci trascina “per le vie di Roma”, offrendoci piacevoli scorci della capitale e rendendoci partecipi, nel dettaglio, di tutti gli spostamenti del protagonista, così come delle precauzioni e accortezze da lui adottate nel tentativo di proteggere il denaro trovato. Denaro che gli permette lussi mai pensati, ma che nello stesso tempo lo rende ansioso, irrequieto e sospettoso. Tanto da dubitare di tutto e di tutti, persino della donna che ama. È davvero così che vuole essere e vivere? Vale la pena lasciare che questo avvenimento modifichi tutto il resto? Con un finale a sorpresa, Bistey vuole farci riflettere su quali siano le cose che cambiano (o non cambiano) realmente il senso della nostra vita; sui nostri sogni, bisogni e desideri. Una riflessione sempre attuale e oggi attuale, in questo periodo fatto di tante immagini e illusioni che si invischiano e si confondono con le nostre priorità e coi valori. Sempre Calvino, ne “Il cavaliere inesistente”, ci dice che “L'arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto”. Una volta che si arriva alla frase conclusiva di “Soldi trovati”, ci si rende conto che esso è nato da una consapevolezza maturata, da qualcosa che l'autore ha capito e su cui, allora, ha scritto. Calvino continua dicendo che “[...] finita la pagina si riprende la vita e ci s'accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.” Ma intanto, da quel nulla, è nata una storia.
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