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Ad avere avuto vent'anni di meno, forse mi sarebbe anche piaciuto. Scrittura, passioni, inquietudini, tormenti e dolori acerbi in cui è difficile, ora, riconoscermi se non in ricordi archiviati e resi inerti dal tempo e dalla vita. È una di quelle storie prigioniera del limite anagrafico; un intervallo temporale entro e non oltre il quale è in grado di esercitare la sua efficacia. Fuori da esso, la lettura si risolve in un déjà vu, vécu, lu.
Finalmente un autore bravo e serio che ha il coraggio di raccontare una storia d'amore, con tutto il rischio che comporta addentrarsi in una materia per lo più tipica di romanzi commerciali. Il libro di Giorgio Fontana si legge tutto d'un fiato, è ben scritto, scorrevole e alcuni passaggi sono davvero notevoli. Un senso di inquietudine e una tonalità cupa accompagna il lettore fin dalle prime pagine. Con un flash back torniamo al momento in cui tutto, per Alessio, era cominciato, a quell’attimo in cui “il tempo si contrae […] tutto perde identità e diventa schiavo di due persone soltanto”. Tutto il racconto è una confessione folle e amara, di cui si fa depositario un amico incontrato per caso, nello storico locale jazz dove il protagonista era solito suonare la tromba. Alessio soffre per amore per una donna che ha avuto, per prima, il potere di stregarlo. Tutta quella felicità, quel “paradiso”, è un dono che Alessio non sentiva di meritarsi: dopo tanti inferni superati, un solo paradiso è in grado di ucciderlo. Finita la storia, con il cuore spezzato e con un’onestà feroce e incomprensibile, si dichiara irrimediabilmente perduto, come perduta è la donna che amava. L’amore può tornare, gli dicono, ma quella persona no. E allora il desiderio non si placa. Come l’eroe mitico del poema ariostesco, o un giovane romantico ottocentesco, diventa folle e disperato, ma anche ridicolo, come solo gli adulti sanno essere quando soffrono per amore (in questo è interessante il confronto con Un amore di Buzzati o La noia di Moravia). A questo amore ossessivo e straziante fa da colonna sonora una musicalità jazz che ha l’aspetto del “maleficio”, finché il dolore non chiama il silenzio, e i dischi e la tromba restano a terra impolverati.
molto rumore per nulla.
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