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Una vedova ultraottantenne, abitudinaria e un po' maniaca come tutti gli anziani, laureata in lettere antiche e appassionata di citazioni latine con cui infarcisce le sue scarse conversazioni quotidiane, vive la sua serena e dignitosa esistenza di pensionata in un paesino delle montagne lombarde. Solida e robusta come le vacche della razza bruna alpina che pascolano nella sua zona, esiste senza dare fastidio agli altri. "Era orgogliosa. La solitudine non le pesava, e anzi le sembrava una condizione privilegiata". Ha un nome antico, romano, come tutti i membri della sua rispettabile famiglia borghese: Quirina. Sua unica passione è il giardino, più umilmente definito orto, in cui coltiva rose, ortensie, pomodori e le amate zucchine: cura il suo verde con la stessa compita dedizione rivolta alla sua inappuntabile casetta. "Perché all'ordine Quirina teneva moltissimo, anche in giardino. Lo considerava il perfetto equivalente di una disciplina mentale e morale...doveva essere l'emblema di una sorta di misura, di armonia cosmica...". Ma ecco che un bel giorno l'universo decoroso, disciplinato e monotono dell'anziana viene sconvolto dalle scorribande ipogee di una talpa, che con le sue gallerie sotterranee e collinette di terreno in superficie le deturpa l'orto ("L'abominio. L'intollerabile offesa."). Inizia così una strenua guerra di Quirina contro l'ospite indesiderato: cerca alleati in paese e in famiglia, studia rimedi, ricorre a erbe velenose, acqua, gas, rumori, vibrazioni, colpi di roncola, trappole, gatti nevrotici, spicchi d'aglio e vento per debellare la "trivellatrice invisibile". Che tuttavia resiste, e continua a sconciarle l'orticello. Alla fine, Quirina accetta l'antagonista come una sorta di alter-ego, oppure una metafora del potere subdolo e vessatorio, o ancora come espressione della sana vitalità della natura. Nell'economia universale, e nell'elegante scrittura di Ernesto Ferrero, c'è posto per tutti: vecchie, talpe e buchi nell'orto.
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