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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2015
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“Oggi è morta mia mamma. O forse ieri, non so” Già l’incipit, che riporto sopra, offre una visione, se pur ancor approssimativa di quel che è Meursault, il protagonista, un francese che risiede in Algeria e che in prima persona descrive la sua vita come se questa gli fosse estranea, come se lui vedesse solo da osservatore il procedere degli eventi. E in effetti, insensibile a qualsiasi approccio affettivo, lascia scorrere l’esistenza di cui appare più soggetto passivo che artefice. Diviso in due parti il romanzo porta alla conclusione un Meursault che uccide senza motivo, che viene condannato alla ghigliottina e che solo quando avverte che la sua fine è imminente prova per la prima volta un desiderio, quello di ricominciare, di ricostruirsi una nuova vita, come aveva fatto sua mamma quando lui l’aveva rinchiusa in un ospizio. Lo straniero è un’opera di grandissimo spessore, anche se di primo acchito e affrontata con superficialità potrebbe apparire dimessa. La forza straordinaria del libro è che in realtà non porta nessun insegnamento, ma dopo averlo letto si avverte chiaro che in noi è cambiato qualcosa e che se anche non è stata una lezione però ha avuto un risultato eccezionale, nel senso che ci apre la piccola porta attraverso la quale entriamo nel mondo, ingresso che sarà tanto più redditizio quanto più giovani saremo, perché è evidente che è pressochè impossibile ritornare a vivere da vecchi. Alla luce di questo Lo straniero non è il classico romanzo con una trama che avvince, che appassiona, bensì è una meditazione sull’approccio di una persona con il mondo e il vero valore dell’opera, che la rende più che mai attuale, risiede nell’incompletezza dell’essere umano, nella sua assurdità di essere al contempo né morale e nemmeno amorale, un’ambiguità da cui non riusciamo, ma anche non vogliamo uscire. Non è certo un libro di facile lettura, o meglio ancora quella che invece può apparire una facile lettura richiede continue riflessioni e approfondimenti, senza i quali la sola trama sarebbe ben poca cosa e appunto come ho scritto prima è alla fine che ci si accorge che senza che lo vogliamo qualcosa è cambiato in noi, che in fondo, sia pur su scala diversa, potremmo essere dei Meursault e che, forse, siamo ancora in tempo per ricominciare, per rapportare diversamente la nostra vita con il mondo che ci circonda. Non aggiungo altro, se non l’invito a leggerlo.
Meursault vive la propria vita con assoluta indifferenza, abbandonandosi al flusso degli eventi: prende parte quasi forzatamente al funerale della madre (di cui non ricorda con esattezza neppure l’età), svolge le proprie mansioni lavorative con inerziale diligenza, vive quasi apaticamente la relazione con la fidanzata Marie, non prova rimorso neppure dopo aver ucciso un uomo su una spiaggia assolata; quest’ultimo episodio lo porterà, imputato di omicidio premeditato, a dover affrontare un processo in tribunale, nonché a (non) dare un senso alla propria esistenza. L’apatia di Meursault è opportunamente sottolineata dalla penna di Camus, la cui prosa risulta volutamente piatta, almeno fino ad una ventina di pagine dalla fine del romanzo. Condannato alla ghigliottina, Meursault giunge alla conclusione che il modo in cui ha condotto la propria esistenza sia il più logico possibile: ogni essere umano è destinato a spegnersi nel giro di qualche decina d’anni, motivo per cui vivere intensamente, affannandosi per raggiungere qualsivoglia obiettivo sarebbe di fatto fatica sprecata. Meursault è "straniero" al resto degli uomini proprio nei termini in cui non prova sconcerto e sconforto di fronte ad una simile conclusione, accettandola serenamente fino alle sue estreme conseguenze. Contribuiscono infine a rendere questo breve romanzo un capolavoro anche la concisione dello stile e l'efficacia delle descrizioni, sia dei paesaggi, dei quali vengono mirabilmente ed intensamente evocate luci, colori, rumori, odori, sia dei personaggi, di cui l'autore è in grado di rendere, con pochi tratti, l'intensa fisicità.
La semplicità con cui Camus ricama la trama di questo libro è disarmante. Scorre la storia di un uomo solo e apatico persino di fronte alla morte della propria madre, scorre in un'afosa Algeri con perfette descrizioni mai noiose di questo paese. Il tema esistenziale percorso già con "La Nausea" di Sarte qui è perfezionato e risulta, a fine lettura, più scorrevole e meno pedante del primo, nonostante lasci la stessa sensazione di smarrimento e di vuoto interiore. Inoltre, degne di nota sono anche le edizioni Bompiani che con le loro pagine ariose invogliano il lettore a lanciarsi nel libro senza provocare un senso di fatica prima della lettura, a causa delle pagine eccessivamente verbose.
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