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Anno edizione: 2016
Anno edizione: 2021
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Mi sono approcciato a questo libro grazie alla sua fama veramente buona tra i miei conoscenti, e devo dire di non esserne rimasto deluso. Tutto è riuscito in "La terra dei figli", dalla storia silenziosa e nostalgica allo stile grafico, quasi scarabocchiato, e tutti gli elementi si amalgamano alla perfezione. Nota ulteriore per il finale, che completa l'opera magistralmente.
La terra dei figli è un'opera di Gipi, nome d'arte di Gian Alfonso Pacinotti, una graphic novel in bianco e nero magnificamente disegnata dal talentuoso autore toscano. La storia è in sostanza un romanzo distopico, ambientato in un futuro dove la società è regredita e non nascono più bambini, in un mondo ormai completamente inquinato dall'ignoranza e dal fanatismo. Il desiderio di conoscenza dei due giovani protagonisti darà via a una storia a tratti rocambolesca e piena di spunti di riflessione sulla società moderna, in grado di far riflettere sul mondo in cui oggi viviamo. Una storia stupenda, proposta da Coconino in un'ottima edizione cartonata. Un altro capolavoro del maestro Gipi, da leggere e rileggere.
Bellissimo. Meraviglioso. Non so davvero cosa dire di fronte a qualcosa del genere. Di una desolazione stupefacente.
Recensioni
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(…) Semplice pennarello nero, puro piano-sequenza narrativo, La terra dei figli è una storia lineare, priva di ellissi temporali o didascalie. È fumetto nella sua forma più schietta, la quintessenza del racconto sequenziale per immagini. E il risultato è un libro avvincente, denso e godibile. Gipi non è e non vuole essere un teorico del fumetto, ma da molte delle sue interviste emerge una consapevolezza lancinante dell’atto artistico, di come e in che dosi mescolare parole e disegni. (…) Gipi ha sperimentato nel tempo tecniche e stili riuscendo a rimanere riconoscibile, prefiggendosi traguardi di volta in volta diversi e stabilendo come fare a raggiungerli e quali trappole evitare (…).
I protagonisti della vicenda sono due fratelli che vivono in riva al lago in una baracca insieme al padre brusco e brutale. Il motore degli eventi è il recupero della memoria, l’ostinazione nel comprendere l’ermetico contenuto di un taccuino che, forse, racchiude in sé un passato (…). L’epigrafe laconica con cui si apre il volume annuncia : “Sulle cause e i motivi che portarono alla fine si sarebbero potuti scrivere interi capitoli nei libri di storia. Ma dopo la fine nessun libro venne scritto più”. E questo, in realtà, non è nemmeno l’inizio. La terra dei figli è un mondo del post, un futuro dopo “la fine”. Non si sa cosa abbia causato il cataclisma, se si tratti di un olocausto nucleare, di una guerra o di un virus. È un evento quasi simbolico, segnato da un fascino oscuro che ha riportato a galla le leggi primordiali della sopravvivenza. (…) Quella di Gipi, tuttavia, è una distopia “domestica”: le molte tavole di narrazione muta e gli ampi paesaggi incolori con i quali descrive la desolazione di un mondo in rovina, ben diversi dalle lande deserte di Mad Max, ricordano piuttosto la maremma toscana o la laguna di Orbetello.
“A me piace disegnare il cielo sopra l’Ipercoop”, dichiarò un tempo Gipi e a questo proposito si è attenuto anche nella terra dei figli. Solo che, stavolta, l’Ipercoop non c’è più e non ne restano nemmeno le macerie. (…). Eppure la cruda miseria che circonda i protagonisti può anche diventare selvaggia bellezza. Ai due fratelli il mondo si rivela per fasi: man mano che l’orizzonte si allarga i ragazzi raccolgono indizi su ciò che è distrutto e su quello che rimane. In questo viaggio il bene e il male sono anch’essi oggetto di scoperta progressiva e alla fine realizziamo che tutte quelle atrocità non erano gratuite: servivano a ricordarci cosa rischiamo di perdere.
Recensione di Andrea Pagliardi
È quasi scontato ribadire come La terra dei figli sia uno dei graphic novel più attesi dell'anno. Anche perché lo stesso Gipi aveva contributo ad alimentare la curiosità in un'intervista apparsa l'anno scorso su Wired, in cui annunciava che la sua prossima, grande opera, sarebbe stata “la prima […] su una trama inventata, senza artifici di narrazione, voce off, poesia varia”. Come a dire: cambio di passo.
Il risultato è una fiction post-apocalittica in cui i pochi umani superstiti sono ridotti a uno stato di mera sopravvivenza semi-bestiale, e in cui sul pianeta sembra non essere rimasto più nulla se non qualche cane da mangiare arrostito su una palafitta. Siamo insomma in piena catastrofe sci-fi, ma trattandosi pur sempre di Gipi è chiaro anche che restiamo a diversi universi di distanza da un Mad Max a caso. Anzi, il vero fascino di La terra dei figli sta proprio nella maniera in cui Gipi riesce a calare la vicenda in un contesto intimamente... ma sì, provinciale, contadino, qui esasperato nei suoi aspetti più crudi, turpi e disperati, e ritratto in uno scabro bianco e nero che più severo non si può (niente acquerelli, già). Tra metafore più o meno esplicite ad aperta riflessione sui destini delle relazioni umane, La terra dei figli è un lavoro ambizioso e cupo, in cui – novità e cambi di passo a parte – intatta resiste la voce dell'autore di Unastoria.
Recensione di Valerio Mattioli
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