In tristi tropici c'è questa frase che a mio modesto parere rappresenta una sorta di inno, di manifesto del pensiero decostruttivista che porta con sé però dei risvolti assolutamente angoscianti: “l'unico modo di sfidare la sorte sarebbe di avventurarsi su quei pericolosi limiti dove le norme sociali cessano di avere un senso, nel momento in cui le garanzie e le esigenze di gruppo svaniscono: andare cioè fino alle frontiere del territorio regolamentato, fino ai limiti della resistenza fisiologica o della sofferenza fisica e morale. È su questo confine indefinito che ci si espone, sia alla possibilità di cadere dall'altra parte per non tornare mai più, sia, al contrario, alla possibilità di captare nell'immenso oceano di forze inesplorate che circondano l'umanità organizzata, una provvista personale di potenza grazie alla quale un ordine sociale altrimenti immutabile potrà essere revocato in favore dell'audace.” Penso si possa vedere con tranquillità quali siano le appendici artistiche di questa straordinaria affermazione, vale a dire Cuore di Tenebra di Conrad e Apocalypse Now di Coppola, e di quest'ultimo, la frase più rappresentativa mi sembra essere quella del monologo del colonnello kurz in cui chiede al capitano Willard “Ha mai preso in considerazione delle vere libertà, libertà dalle opinioni altrui, perfino dalle proprie opinioni?”.Ovviamente se una tale prospettiva dovesse essere assunta da una persona come codice comportamentale, come paradigma di vita, il termine di questa potrebbe essere accompagnato da quelle stesse parole che il Kurtz di Conrad pronuncia prima di morire “Che orrore! Che orrore!”. A voi la scelta.
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"Ho cercato la mia strada molto a lungo. In etnologia sono un completo autodidatta. Una prima rivelazione l'ho avuta per ragioni inconfessabili: smania d'evasione, desiderio di viaggiare." Queste parole di Claude Lévi-Strauss riassumono il senso di "Tristi Tropici", resoconto delle spedizioni compiute dall'autore nel Mato Grosso e nella foresta amazzonica. Quando Lévi-Strauss, nel 1934, arrivò a Sào Paulo per ricoprire la cattedra di sociologia all'università, il suo interesse per l'antropologia era ancora una passione non concretizzata. Una volta giunto in Brasile, la curiosità per le culture indigene e il desiderio di visitare un paese in gran parte inesplorato lo spinsero a organizzare una serie di ricerche "sul campo". Entrò così in contatto con le tribù autoctone, potè conoscerne direttamente le usanze e la vita quotidiana. Di ritorno da quel lungo viaggio, Lévi-Strauss lasciò calare il silenzio su quell'esperienza: non una parola che ricordasse le difficoltà, i rischi che gli incontri con civiltà indigene gli avevano procurato. Quindici anni più tardi, decise di raccontare ciò che aveva visto e vissuto. E nel 1955 uscì questo saggio, che cambiò per sempre i destini dell'antropologia ma che è soprattutto un racconto vivo dove si intrecciano descrizioni degli uomini e della natura, aneddoti, considerazioni filosofiche e narrazione dell'avventura quotidiana del ricercatore.
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Autore:
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Traduttore:
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Editore:
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Collana:
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Anno edizione:2015
In commercio dal:
22 ottobre 2015
Pagine:
379 p., ill. , Brossura
EAN:
9788842821601
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GIORGIO PRETTO 07 settembre 2010