L' uomo che morì come un salmone

Come sempre Niemi scivola tra le regole dei diversi generi narrativi per piegarle e creare qualcosa di unico. "L'uomo che morì come un salmone" non è forse il più riuscito dei suoi esperimenti, ma l'idea di partire dal giallo per parlare dell'"omicidio" di una lingua è davvero degna di nota. Letto con la passione di un linguista, è a suo modo un piccolo gioiello.

Sostanzialmente d'accordo con chi mi ha preceduto: lo stile non particolarmente scorrevole, disuguale, ma a tratti assai intrigante mi ricorda Peter Höeg; un po' di paranormale ci sta anche bene, ed anche questo tratto ci può riportare a Höeg. La collana "Ombre" ci presenta dei thriller: un finale né lineare né del tutto logico probabilmente esula dai canoni tradizionali del meccanismo thriller al quale siamo avvezzi, ma questo non è necessariamente un limite: del resto anche il "Pasticciaccio brutto....."

Era 5/5 prima delle ultime dieci pagine. Mikael Niemi ha doti evocative e descrittive intriganti. Il libro ti prende, ti dispiace non poterlo leggere in svedese e di dover intepretare gli intermezzi in finlandese. La storia di gente di frontiera, incerta tra radici e realtà in divenire. Il crimine diventa sfondo piuttosto che punto nodale. Ma il finale è debole e traditore, frettoloso e discutibile. Il 3 è una media ragionata tra il 5 della scrittura e l'1 della soluzione.