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Da pianisti che cercano il suono del clavicembalo a cembalisti che cercano effetti da pianoforte, da filologi attenti alla prassi d’epoca a romantici che traslano in avanti di svariati decenni, la storia dell’interpretazione di Bach accoglie di tutto. La Perrotta fa una scelta con forti e coerenti ragioni: strappare Bach alla sua aurea di eccessivo intellettualismo e portarlo in un ambito in cui la musica emoziona senza diventare troppo “romantica”. Lo notiamo già dall’Aria: raro trovare tale fusione di dolcezza, introspezione, contemplazione, eleganza. Se l’eleganza e la contemplazione, si dirà, sono intrinseche nella composizione, quel pizzico di dolcezza è ottenuto con leggere variazioni di tocco e di tactus. Il tutto, cioè, rendendo la musica espressiva ma senza sfociare in una visione romanticheggiante. Il Gould degli anni 80, invece, eccede: è molto più lento, rendendo l’aria svenevole, ma il tactus è costante: per un verso barocco, per l’altro romantico. La Perrotta trova in mezzo una strada che è di sovrano equilibrio. Stessa considerazione con la variazione 25. Con Gould dura 6 minuti, e finisce per “slabbrarsi”; con la Perrotta (4:30) è un pezzo meditativo, mesto, ma non drammatico come con altri. Ancora: le var. 4 e 10 hanno un suono quasi orchestrale ma chiarezza e distinzione delle voci; il ritornello della 9 è una sublime occasione per rifarci sentire la stessa musica in maniera più delicata; ancor meglio nella 6, quando la dolcezza e il raccoglimento aumentano nell’ultima parte, con un suono ambrato e una dinamica diminuita. Nella 12 il respiro e il fraseggio si fanno più vari anche all’interno delle singole frasi, e in essa si toccano vertici di sublime musica: l’esito è una meravigliosa visione di una cattedrale barocca, la cui contemplazione ci mette a contatto con la Spiritualità. Un abisso, qui, la separa dal Gould anni 80, che suona questa variazione come un “moto perpetuo”, con fissità di fraseggio e dinamiche. Lontana da quel Bach troppo “schematico”, la Perrotta, giocando anche coi colori, sembra suggerirci che… ah, se solo Bach avesse disposto dei pianoforti… Non si pensi che la Perrotta giochi sul versante della espressività per supplire a mezzi tecnici limitati: nelle variazioni più virtuosistiche, la fluidità del fraseggio è sorprendente: le variazioni 26 e 14 scorrono veloci e naturali come acque sorgive, senza alcuna rigidità. Attenzione all’espressione, ma anche alla forma. La Perrotta la domina saldamente e ci “racconta” in maniera musicale ma chiara la struttura dell’opera. Ad esempio, si percepisce all’ascolto che la var. 16 fa un po’ da perno centrale dell’intera opera: grazie a quella enfasi con cui la Perrotta ci canta il tema della prima parte, ci sta dicendo “questa è la chiave di volta di tutta l’architettura”. E magistrale è il raccordo tra la variazione 19 e la 20 (a ricordarci che i pezzi sono tasselli di un unico mosaico, non giustapposti come in un polittico ottontentesco): verso la fine della 19 il suono si fa più vaporoso, c’è un rallentando e il pezzo va lentamente svanendo…e da qui prende le mosse la 20; c’è un senso di continuità perché sembra quasi che la lenta conclusione della 19 sia il “prendere la rincorsa” per lanciarsi nella 20, con quella leggera accelerazione nelle prime battute che la porta a passaggi vorticosi. E, infine, la magia. La ripresa dell’aria. Peter Williams: “…La melodia…è probabile che appaia nostalgica, rassegnata o triste…qualcosa che sta arrivando alla fine, con le stesse note, ma ora conclusive”. Gould rallenta molto. Beh! Così è facile farla sembrare “triste e rassegnata”! La Perrotta no, non cambia velocità. E quindi? Non sono in grado di dire come riesca a ottenere quel senso di conclusione, ma lo ottiene; forse qualche leggera differenza nel fraseggio, o nella dinamica; o forse è intrinseco nella musica stessa, e lei semplicemente ce la rivela così come Bach l’ha progettata per avere quell’ effetto. O, forse, è magia!
Recensioni
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