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Anno edizione: 2018
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Storia di un’incomprensione. Il jazz secondo Adorno
di Arianna Agudo
Nel tracciare le differenze tra la cosiddetta musica “seria” e la popular music (in cui include anche la forma jazz), Theodor Adorno mette più volte l’accento sul diverso rapporto tra le parti e il tutto che vige nell’una e nell’altra. Se infatti nella popular music ogni dettaglio appare come inessenziale e per questo sostituibile e separabile dal tutto, nella musica “seria” esso è impregnato di una sostanzialità significante che lo lega in modo indissolubile alla totalità rivelando, simultaneamente, l’essenzialità delle parti rispetto al tutto e l’essenzialità delle parti come tutto perché, come sostiene l’autore, «il dettaglio contiene virtualmente il tutto e porta all’esposizione del tutto, mentre, allo stesso tempo, esso è generato dalla concezione dell’insieme». È proprio attraverso questa cornice relazionale che bisogna leggere le Variazioni sul jazz. Critica della musica come merce recentemente pubblicato da Mimesis (con la prefazione di Giovanni Matteucci e postfazione di Stefano Marino) dove vengono tradotti e raccolti, per la prima volta in italiano, sette saggi dedicati da Adorno alla musica jazz redatti tra il ’33 e il ’53.
Chi avesse consuetudine con il pensiero del filosofo francofortese può ben preconizzare i toni severi, perentori e tutt’altro che affabili con cui tratta l’argomento. Con un atteggiamento ottuso, provocatorio e a tratti irritante, coltiva metodicamente tutti i suoi pregiudizi per arrivare a formulare, come sostengono molti, «alcune delle più errate “sentenze” sul jazz mai emesse in tutto il Novecento». Come a volersi confondere mimeticamente con la materia trattata, anche la lingua sembra qui perdere la consueta eleganza e abbandonare quel rigorismo paratattico e aforistico (quella scrittura che induce il lettore a una sottolineatura fitta e quasi continua nella quale si lasciano intonse, per pudore, le sole virgole), per farsi più cedevole e apparentemente sollevata dall’ingombro del linguaggio filosofico. Dunque, il lettore che si avvicinasse alle Variazioni sul jazz alla ricerca di un’analisi prettamente musicale, resterebbe impigliato nella ristrettezza elitaria del suo ideologismo, proprio perché il tema “jazz” non può essere letto in modo absoluto, come momento parziale separabile dall’insieme, ma, come ogni opera “seria”, in quanto parte – o dettaglio – in continuo rapporto dialettico con il tutto. Il metodo interpretativo non può far a meno di doppiare il gioco di rispecchiamenti insito nell’intera impalcatura filosofica adorniana. In perfetta sintonia con la dialettica negativa, vi è dunque una continua tensione e azione reciproca tra le Variazioni e gli altri scritti, tra il “dettaglio jazz” e la “totalità sociale”, nello stesso modo in cui la musica rispecchia e si integra con il tutto perché, come scrive Marco Santoro, «nessun aspetto della realtà può infatti venir compreso […] in isolamento dagli altri»: isolare uno dei momenti sociali «significa “feticizzare” una parte per il tutto». Allo stesso tempo, sempre aderendo alla dialettica negativa, nessuna delle parti può essere trascesa o superata ma, in quanto elemento monadico che racchiude la totalità, va inteso come materia significante che vale “per sé” perché, dice Adorno all’inizio della Teoria estetica, l’arte «è per sé e non lo è, non coglie la propria autonomia se le manca ciò che le è eterogeneo».
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