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Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2017
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Dopo ben quarant’anni dalla sua uscita (Edizioni Il Formichiere, 1977), l’editore Frassinelli riesuma il romanzo di Giorgio De Maria (1924 – 2009) “Le venti giornate di Torino”, riscoperto con successo anche negli Stati Uniti. Stavolta l’etichetta di libro maledetto non è un’esca di tendenza, bensì un tangibile decadimento che marchia sia l’atmosfera del romanzo che la vita dell’autore. "Le venti giornate di Torino" è un libro che travalica i generi e i tempi. Narra di un burrascoso passato che guarda con apprensione a un futuro altrettanto angoscioso. Dal punto di vista squisitamente letterario ci troviamo al cospetto di un giallo che trasuda orrore cosmico, cospirazionismo e follia allo stato puro. Statue che sembrano prendere vita, civili inebetiti che vagano di notte per le vie cittadine facendosi sfracellare il cranio sui monumenti, poteri occulti che trascendono la normale percezione dell’esistenza e condannano chi vi si accosta a un oblio senza ritorno. Questo romanzo non vi lascerà indifferenti, è troppo malato e delirante per darvene modo. Ingiustamente dimenticato, "Le venti giornate di Torino" risorge in una nuova e più curata veste editoriale per riprendersi prepotentemente la riconoscenza che merita. Una prestigiosa perla nera del nostro patrimonio letterario.
Recensioni
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La cosa incredibile dei libri è che hanno una vita a sé, e arrivano (o ritornano) quando è proprio il momento giusto. Epifanie senza scrupoli, le definirei, perché quando si manifestano, certi libri, lasciano il segno. E così, direttamente dal 1977, ecco tornare Le venti giornate di Torino, un thriller (forse, forse sì) di Giorgio De Maria (autore dimenticato quanto la sua opera).
Breve premessa: adoro Torino e tutti i libri che parlano o sono ambientati in questa città (da Diario di Zona e Quello che l’acqua nasconde, tra i più recenti e amati). Quindi Le venti giornate di Torino mi intrigava a prescindere. Ma poi ho scoperto altro, molto altro.
La trama del romanzo ruota intorno a un’indagine su fatti inspiegabili avvenuti, anni prima, nella città sabauda e circoscritti a venti lunghi e terribili giorni. Un’indagine che si svolge in un clima di tensione, di paura, di cose inspiegabili come quelle che erano accadute precedentemente. Un’indagine senza soluzione apparente.
Perché la strada che conduce alla risoluzione del caso (ammesso che ci sia) ce l’ha il lettore e non lo scrittore. La voce narrante espone fatti (inspiegabili, allucinanti, macabri) e fa un passo indietro. Il collante della storia è fuori dalla storia stessa e sta nella testa di un lettore caparbio che mette in discussione se stesso e il suo presente per comprendere il mondo. Ammesso che ci riesca. Perché alcuni libri (quelli che lasciano il segno) non danno soluzioni ma aprono (senza mai chiuderle) inquietanti parentesi.
Prendete il libro di Giorgio De Maria e leggetelo con gli occhi di un lettore del 1977 (il clima politico teso, il cinema impegnato, gli scrittori schierati): vivrete una sorta di stordimento dovuto alla grande quantità di elementi narrativi (onirici, a volte splatter, visionari) e spunti di riflessione. Leggetelo poi con gli occhi di un lettore di oggi e vi sorprenderete per l’attualità di alcune parti (come la biblioteca che profetizza un luogo social, che ricorda moltoFacebook). Leggetelo per criticarlo, ma vi troverete a riflettere su un lessico ormai perso, su un modo di raccontare che poteva essere di genere ma mai schiavo del genere stesso. È un libro strano perché è profondamente diverso da quelli a cui siamo abituati. Ed è un libro bello perché ci restituisce l’immagine di passato recente che aveva grandi occhi spalancati sul futuro, tanto grandi da immaginarlo quale poi sarebbe stato.
Recensione di Beatrice De Carli
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