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Anno edizione: 2014
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Dopo essermi appassionata con Nulla di nuovo sul fronte occidentale, questo libro mi tenuta ancora più incollata alle sue pagine per conoscere la sorte del gruppo di camerati. Ancora più qui emerge l'inutilità della guerra.
Il libro si rivela essere ancora una volta un forte avvertimento contro la guerra – oltre che un’importante testimonianza – e un grido disperato in un paese che non sembra voler imparare da ciò è stato, né tanto meno dare il giusto valore a tutto ciò che si è perso. Oggi come ieri “La via del ritorno” è ancora un importante manifesto antimilitarista. Lo stile di Remarque è malinconico e allo stesso tempo incisivo, riesce a descrivere con straordinaria nitidezza la situazione in Germania dopo la prima guerra mondiale, ma soprattutto il vagabondaggio delle poche anime sopravvissute che non poteva essere capite da chi la guerra l’aveva vissuta sotto un tetto.
Ne “La via del ritorno” chi è sopravvissuto alla guerra, non sopravvivrà alla vita: così come in “Niente di nuovo sul fronte occidentale” i soldati si fanno travolgere dal fuoco nemico, qui si faranno travolgere dal tentativo di aggrapparsi a corde ormai spezzate, loro che non trovano più senso a ciò che fanno perché la guerra gli ha bruciato la gioventù e gli anni in trincea sono diventati presente, passato e futuro. Ognuno di loro si lascerà annientare da una quotidianità troppo futile e stretta per essere vera, ogni tentativo di lasciarsi alle spalle la guerra sarà vano, perché quest’ultima è penetrata ormai nelle loro ossa. Ciò che la storia non ci insegna, ce lo racconta Remarque nel ritorno in patria di questi soldati snobbati dalla società per cui hanno versato sangue e lacrime, per cui hanno patito gli stenti e hanno distrutto le loro anime, al tempo troppo giovani e innocenti, ora troppo vecchie. Lo stile di Remarque è malinconico e allo stesso tempo incisivo, riesce a descrivere con straordinaria nitidezza la situazione in Germania dopo la prima guerra mondiale, ma soprattutto il vagabondaggio delle poche anime sopravvissute che non poteva essere capito da chi la guerra l’aveva vissuta sotto un tetto.
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