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1962 - David di Donatello - Miglior attore straniero - Tracy Spencer
1961 - Oscar [Academy Awards] - Miglior attore - Schell Maximilian
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“Vincitori e vinti” è uno splendido dramma giudiziario che ripropone in forma opportunamente romanzata uno dei processi svoltisi nel secondo dopoguerra a Norimberga. Dura più di tre ore, ma tanto per il tema trattato quanto per l’eccellente cast di attori non le fa pesare. La guerra è ormai finita e le colpe e gli orrori perpetrati dai nazisti sono noti a tutti, ma quale sostanziale differenza vi è fra i vinti che ora devono essere giudicati e i vincitori che in nome dei propri interessi sarebbero persino disposti a dimenticare, perché l’URSS è il nuovo nemico e l’alleanza con la Germania, in quest’ottica, auspicabile, quando non proprio necessaria? È possibile ignorare, nel nome di qualche cavillo giuridico, la visione dei filmati (originali) ripresi dalle truppe alleate alla liberazione dei campi di concentramento, e affermare che i giudici che autorizzarono la deportazione di determinate persone ignorassero ciò che sarebbe stato fatto, a quelle come del resto agli altri milioni di deportati, in quegli stessi campi? O forse le logiche di stato (e in questo senso, di qualsiasi stato) passano fin troppo velocemente sopra a quei principi che più di ogni altro dovrebbero essere considerati sacri e irrinunciabili? Perché attenzione, ammonisce a un certo punto il giudice interpretato da Spencer Tracy: non tutto ciò che è logico è anche, necessariamente, giusto. E forse ora più che mai farebbe bene anche a noi ricordare su cosa si basa una democrazia degna di questo nome: sulla giustizia, sulla verità, ma soprattutto sul valore di ogni singola vita umana.
Il film, quasi interamente girato all'interno di un'aula processuale, impegna la visione per 3 ore. Scelta azzardata, forse, ma per niente fiaccante, perché Kramer riesce a calibrare la narrazione ottimamente. Di fronte a temi di questa portata si rischia di scivolare nella retorica più qualunquista, di svilire gli avvenimenti riducendoli a facili bersagli. Ed è qui che, a mio avviso, il ruolo dell'avvocato interpretato da Maximilian Schell - ruolo che gli valse l'oscar - si incastra alla perfezione in un meccanismo che non desidera solo colpire. Egli, grazie alla sagacia intellettuale, inanella una serie di considerazioni talmente affilate che non possono non far riflettere sul senso della natura umana, di giustiziati e giustizieri - di vincitori e vinti, appunto - riempiendo il bianco e il nero della pellicola con una tavolozza popolata da mille sfumature assolutamente importanti. Un protagonista prezioso.
Il film, quasi interamente girato all'interno di un'aula processuale, impegna la visione per 3 ore. Scelta azzardata, forse, ma per niente fiaccante, perché Kramer riesce a calibrare la narrazione ottimamente. Di fronte a temi di questa portata si rischia di scivolare nella retorica più qualunquista, di svilire gli avvenimenti riducendoli a facili bersagli. Ed è qui che, a mio avviso, il ruolo dell'avvocato interpretato da Maximilian Schell - ruolo che gli valse l'oscar - si incastra alla perfezione in un meccanismo che non desidera solo colpire. Egli, grazie alla sagacia intellettuale, inanella una serie di considerazioni talmente affilate che non possono non far riflettere sul senso della natura umana, di giustiziati e giustizieri - di vincitori e vinti, appunto - riempiendo il bianco e il nero della pellicola con una tavolozza popolata da mille sfumature assolutamente importanti. Un protagonista prezioso.
Recensioni
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