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La novella iniziale, perfetta nella sua classica brevità, narra dell’emozionante esperienza di caccia di due adolescenti, che imparano a valutare quanto la nobiltà innocente del cinghiale ucciso sia superiore rispetto alla tronfia crudeltà degli altri battitori. In Visita a Godenholm, Jūnger si misura con i temi della trascendenza, dell’utopia, dello scavo nell’inconscio, della liberazione dell’io. Ogni personaggio viene scolpito con pochi tratti magistralmente incisi: in primo luogo il misterioso Maestro-sciamano Schwarzenberg, che vive solitario a Godenholm, in un’isoletta del Mare del Nord, dedicandosi a studi esoterici e teologici. Provvedono alla sua sopravvivenza materiale tre enigmatici servitori: il pescatore Gaspar, dal petto istoriato di ferite e tatuaggi, la grassa e infida cuoca Erdmuthe, la sguattera Sigrid con movenze di bertuccia. La lugubre magione del Maestro viene periodicamente visitata da tre ospiti, desiderosi di immergersi nella conoscenza del Tutto, illuminati dal suo insegnamento. Sono una vitale e tellurica Ulma, il paleontologo Einar e l’inquieto scienziato Moltner, sempre alla ricerca del suo vero Sé, e di una risposta alle molte domande che lo tormentano. Schwarzenberg non offre soluzioni alle loro richieste spirituali ed etiche, si esprime con metafore e frasi sapienziali, suggerendo un percorso iniziatico verso il mistero che li possa portare alla scoperta dell’Uno che governa l’universo. Ma una sera fa vivere loro l’esperienza allucinata di visioni infernali e celestiali, in una natura improvvisamente muta e assordante, serena e tenebrosa, preistorica e futuribile, nell’assenza di qualsiasi scansione temporale e nel superamento di ogni localizzazione. Sconvolti e increduli, i tre amici vorrebbero dal Maestro altre indicazioni di salvezza. Ma impenetrabile ed etereo, lui li congeda con queste parole: «La mia casa è come una locanda spagnola. Gli ospiti non vi trovano niente di più di quello che hanno portato con sé».
L'unica cosa che si possa dire su Junger e le sue opere, tra cui questa in particolare, e' : Straordinario ! Per il resto, leggetelo, leggetelo e ancora leggetelo.
Adelphi omaggia il Titano Jünger offrendo al lettore italiano un dittico di racconti pubblicati nell'anno 1952, di cui almeno il secondo, eponimo, di squisita fattura. In esso Jünger, alfiere dell'erosimo sacrale e nietzschiano quale estremo baluardo al nichilismo tecnicizzante dell'Occidente (e per questo in aperta e dialettica disputa con il Gran Maestro Heidegger, amico e sodale), storico del "numinoso" e collega del più noto Mircea Eliade, Jünger si diceva condensa in alcune decine di pagine il viaggio dall'Io al Sé, il naufragio dell'individualità consapevole nella ulcerante eternità del Tutto, il sublimarsi dell'istante nell'Eternità dell'istante. E' questo il nucleo, l'archetipo che Jünger e altri con lui iniziati, riconoscono quale substrato permanente e permeante il sentimento del divino di cui è intriso l'Uomo; quel divino che solo in apparente e dilacerante antinomia con l'umano ne delimita il senso ma ne disvela l'afflato. In questo racconto ogni figura, persino ogni nome è simbolo, frazione ed atomo dell'universo, in un tripudio narrativo panteistico e panenteistico che sconfina, inavvertito, con il mistico ed il misterico. Perché, come conclude il cerimoniere Schwarzenberg: "(...)la mia casa è come una locanda spagnola. Gli ospiti non vi trovano niente di più di quello che hanno portato con sé".
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