La parola chiave è leggerezza. La leggerezza dello sguardo di un bambino che vede il mondo senza i pregiudizi della razza o della religione, che va oltre al ruolo che la società ci costringe a vivere. Un mondo popolato da splendide prostitute e travestiti, da vecchi arabi e neri, da un bambino eccezionale che impara le preghiere ebraiche pur essendo musulmano per amore della sua Madame Rosa. Madame Rosa che pur vecchia e pelata è ancora bellissima per i suoi immensi occhi castani e perché ama senza riserve anche se la vita è stata ingenerosa con lei. Perché in questo romanzo non ci sono né rancore né risentimento, ma solo lo sguardo pulito di chi sa vedere e amare senza riserve. L'ho letto d'un fiato, con un pregiudizio iniziale un po' snobbistico, ma fin dalle prime pagine sono rimasti avvinto. Ci sono anche riflessioni molto attuali, per esempio sull'eutanasia e sull'accanimento medico.
La vita davanti a sé
Eroe di guerra, diplomatico, cineasta, Romain Gary si suicidò il 3 dicembre 1980. La sua scomparsa fece scalpore ma il vero colpo di scena arrivò quando, pochi mesi dopo la morte, si scoprì che Gary ed Emile Ajar, autore del romanzo "La vita davanti a sé", erano in realtà la stessa persona. Il libro, che narra le vicende di Momo, ragazzo arabo nella banlieu di Belleville, figlio di nessuno, accudito da una vecchia prostituta ebrea, vinse il Goncourt inaugurando uno stile gergale da banlieu e da emigrazione, cantore di quella Francia multietnica che cominciava a cambiare il volto di Parigi.
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Edizione:10
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Federico Frezzolini 04 novembre 2019
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Renzo Montagnoli 10 giugno 2018
Che cosa abbia spinto Romain Gary a scrivere La vita davanti a sé (e non solo questa, ma altri tre romanzi) con lo pseudonimo di Emile Ajar non è ben chiaro, tanto più che di questa attribuzione effettiva siamo venuti a conoscenza solo dopo il suicidio dello scrittore. Infatti, in forza della pubblicazione postuma di Vita e morte di Emile Ajar, si venne a sapere che quell’Emile Ajar vincitore cinque anni prima del prestigioso Premio Goncourt con La vita davanti a sé altri non era se non Romain Gary. A onor del vero, se pur la psiche di Gary fosse particolarmente complessa, non è improbabile che la scelta di un altro nome da dare come paternità della sua produzione fosse anche dovuta al fatto che, in parte a ragione, si riteneva perseguitato dalla critica letteraria, che dopo l’attribuzione del Premio Goncourt 1956 con Le radici del cielo lo incolpava di non essere stato capace di ripetersi con libri di eguale valore. Per ironia della sorte anche La vita davanti a sé ottenne, come ho già scritto, il prestigioso premio Goncourt e la cosa più strabiliante è che riviste di critica letteraria che avevano bersagliato Gary si dimostrarono entusiaste per Ajar. A parziale giustificazione di questo comportamento incongruente devo dire che per stile e argomenti il romanzo in questione sembra effettivamente scritto da un autore diverso, anche se alcuni aspetti tipici di Gary, come per esempio una certa vena poetica, ogni tanto affiorano, nonostante un linguaggio meno ricercato e più crudo. Ciò premesso, è arrivato il momento di una disamina di quest’opera che, a onor del vero, alla sua uscita ha suscitato opinioni contrastanti e anch’io, benché mi sia piaciuta, ho comunque formulato delle riserve perché in bocca a un bambino certe frasi e certe riflessioni a volte sembrano artificiose, trattandosi di discorsi propri di uomini maturi. Però devo ammettere che il piccolo Momò ha una sua naturale simpatia, una tenerezza nella sua fanciullesca innocenza che coinvolge emotivamente. Periferie squallide dove vivono emarginati gli immigrati, le famose banlieues sono lo scenario, il palcoscenico su cui si svolge una vicenda tutto sommato semplice ma che è un grande romanzo d’amore, non dell’amore fra un uomo e una donna, ma del forte legame affettivo fra il bambino e la donna ebrea a cui è stato affidato, a dimostrazione che non esistono solo i vincoli di sangue e che nel bene e nel male l’esistenza può essere anche motivo di gioia, purché si abbia il desiderio di vivere, concetto molto bello, ma strano in un uomo che poi si suiciderà. Non era facile da scrivere, era anzi difficile proprio per l’ambientazione, per i personaggi, rappresentanti di un mondo di reietti in cui abbondano protettori, drogati, prostitute, e far uscire da quel letamaio un giglio come Momò per dimostrare che in qualsiasi circostanza la vita comunque vale pena di essere vissuta deve avere quasi provocato nell’autore un’ossessiva ricerca del suo originario e ormai trascorso spirito infantile. La vita davanti a sé non è un capolavoro come Educazione europea, benché toccato dalla grazia, incline però un po’ troppo, nonostante la rudezza dell’esposizione, a un sentimentalismo neppure tanto velato; è però quel che si dice un romanzo eccellente, dalla gradevole lettura e che lascia un’intensa commozione, facendo nascere un istintivo desiderio di protezione, la voglia di stendere una mano per carezzare il viso piangente di Momò.
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Claudia Beolchi 03 settembre 2015
Un libro scritto benissimo. Le parole di Momò sono intense e disarmanti allo stesso tempo, come solo la visione del mondo da parte di un bambino può essere