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Una pubblicazione unica, che unisce la scientificità dei dati ad una prosa accattivante e coinvolgente. Il lettore si trova immerso nelle usanze funerarie e nell'iconografia dei sarcofagi della Roma di età imperiale v. Paul Zanker realizza una pubblicazione davvero pregevole corredata da schede esemplificative che raccolgono i singoli miti, corredati da un'apparato iconografico chiaro e completo e di agevole consultazione.
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Paul Zanker è uno dei più autorevoli studiosi di arte romana, e una sintesi dei suoi studi si trova ora in un manuale, Arte romana (Laterza, 2008), basato sul contesto storico e sui messaggi delle immagini, divise per temi e non in ordine temporale: l'opera si raccomanda per lettori colti e per studenti di archeologia classica, che prima devono però imparare a leggere i linguaggi figurativi e a datare le opere; è così tempo che, a quasi quarant'anni di distanza dalla fondamentale opera sull'arte romana di Ranuccio Bianchi Bandinelli, anche qualche studioso italiano torni a scrivere un manuale onnicomprensivo.
Esemplificativo in modo più approfondito della visione di Zanker è il libro sul senso delle saghe mitiche sui sarcofagi romani, che a quattro anni di distanza dalla versione tedesca si presenta in un'ottima edizione italiana, con superbe foto: c'è da scommettere che nel buio delle affollate camere sepolcrali alla fioca luce delle fiaccole mai gli antichi poterono contemplare con tale nitore i dettagli su casse e coperchi.
Quale il significato dei miti? Bella domanda, non nuova. Una volta spentosi il vecchio entusiasmo per il simbolismo funerario, molti autori hanno sì indagato i soggetti sul versante iconografico e tipologico, ma con qualche impaccio davanti alle ragioni del loro impiego. Ben più a cuore di Zanker le preferenze tematiche dei compratori e le reazioni del visitatore medio di fronte alle immagini di un "libro senza testo", perché non molto aiutano letteratura consolatoria e iscrizioni sepolcrali, peraltro esprimenti una moltitudine di idee, non univoche, sulla morte. Il compito è per di più malagevole, ché le rappresentazioni schiudono multiple opzioni semantiche in senso retrospettivo o prospettivo e lanciano messaggi a defunti e superstiti, in bilanciamenti sempre cangianti.
I miti alla situazione funeraria si attagliano in modo stringente quando i loro protagonisti, dalla metà del II secolo d.C., assumono volti di defunti e congiunti, novelli Achille, Pentesilea, Adone, Demetra, Persefone, Endimione, Selene, Teseo, Arianna o, più di rado, Dioniso e così via. Morti sì: ma che eroi! E i ritrattini degli eroizzati dovevano comunque consolare, se non il cuore, almeno gli occhi dei parenti. Due le nodali aree tematiche colte da Zanker. Anzitutto, la consolazione funebre, a sua volta scissa in drammatiche allegorie mitiche con attinenza alla morte (Meleagro) e storie violente (strage dei figli di Niobe, orrori della guerra di Troia), tutte così riassumibili: inveiamo pure contro il destino, ma, se anche gli eroi muoiono, insopportabile perdita non v'è. Immancabili gli episodi di ratto femminile (Persefone rapita da Hades il più apprezzato): sorte brutale, ma è un sollievo che la rapita diventi sposa di un dio. D'altronde, sui sarcofagi l'amore trionfa (peccato per l'assenza di cenni alla frequente presenza di Eros e Psiche) e, in numero esiguo, emergono pure struggenti vicende di coppie, il cui reciproco sentimento fu sì smisurato da consentire un ricongiungimento con il partner morto (Protesilao e Laodamia, Admeto e Alcesti). A proposito di storie d'amore: enorme gradimento incontrò il giovane Endimione, sprofondato in un sonno eterno, sinonimo zuccherato di morte, e di notte visitato da Selene.
Accanto alle storie grondanti lutti o un po' mielose proliferano, specie nel III secolo d.C., le gioiose immagini fantastiche, trattate nella seconda parte del volume da Zanker, incline a sottolinearne le associazioni innescate anche in altri ambiti (esperienze della vita reale, decorazione di pavimenti e pareti domestiche), per cui, se si segue il suo punto di vista, l'occhio antico pure nella lugubre cornice pare molto sensibile agli eccitanti visivi di soffuso erotismo.
Frequenti i cortei di divinità, o tiasi, marini: già in passato se ne è contestata la relazione con il viaggio delle anime alle Isole dei Beati, esplicitato dall'epigrafia sepolcrale greca e latina, e, di fatto, mancano indizi concreti in tal senso. Ma quei tiasi, più che stimolare desideri sensuali, come nelle terme e nelle case private, non riescono almeno a evocare l'idea del cammino dell'anima verso metafisiche marine, tanto più quando i centauri trasportano l'imago clipeata o conchata dei morti? Un altro tiaso, quello dionisiaco, fa scordare miserie e spiacevolezze per garantire duratura felicità anche dopo la morte, senza inscenare, è vero, una precisa azione cultuale e rivolgersi a iniziati; tuttavia, anche in questo caso neutralizzare del tutto i legami con la dimensione escatologica del culto dionisiaco non conviene.
In breve: l'eccellente libro, che si affianca ai Messages d'outre-tombe di Robert Turcan (1999), monografia non dotata dell'accattivante chiarezza espositiva dell'opera di Zanker, a vecchia domanda fornisce stimolanti nuove risposte, pur con la tendenza a sottovalutare eventuali, per quanto sfuggevoli, segni simbolici strettamente correlati al contesto funerario.
Massimiliano Papini
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