Questo volume riunisce tre libri autobiografici della scrittrice neozelandese, dichiarata schizofrenica da giovane e rassegnata a vivere con quest'etichetta addosso, anzi conformandosi ad essa, fino al definitivo responso negativo: non era schizofrenica, ma solo una ragazza che da molto giovane si sentiva fare parte delle fila di disadattati e incompresi di questo mondo, poi in parte rovinata dall'errata diagnosi e dal conseguente non necessario ricovero in ospedale psichiatrico. A ogni modo, da ragazza timida e introversa è riuscita con caparbietà a diventare una scrittrice per inseguire il suo sogno. Personalmente l'ho ammirata per essere riuscita a non curarsi delle convenzioni sociali ed essere profondamente se stessa (all'epoca ci si aspettava infatti che tutt'al più diventasse insegnante, ma soprattutto che si sposasse, per avere finalmente un proprio ruolo nella società). Insomma, per tanti versi una vita sfortunata, anche sul piano delle vicende familiari, ma alla fine lei ha avuto una vita piena, basti pensare i sette anni trascorsi a Londra e in Europa. Semplicemente, per carattere, non era fatta per "mescolarsi agli altri". Non posso che giudicarla una gran donna, pur con tutte le sue singolarità e un pizzico di incapacità di vivere nella società conformista.
Un angelo alla mia tavola
«Una delle più grandi biografie del Novecento»: così il Times Literary Supplement ha definito questo libro. Un’opera che ha attratto nel tempo milioni di lettori e lettrici, tra le quali la regista Jane Campion che le ha dedicato uno dei suoi film più riusciti. Si potrebbero spiegare le ragioni di questa attrazione con la fascinazione che il tema Genio e follia – così nel 1922 Jaspers intitolò un suo celebre saggio – esercita da tempo immemorabile. La stessa Jane Campion, del resto, ha dichiarato di essersi accostata a Janet Frame e di aver concepito l’idea di un film sulla scrittrice famosa per aver trascorso otto anni in un ospedale psichiatrico e per aver subito più di duecento elettroshock, perché leggeva da bambina le sue opere ed era rimasta colpita dai passaggi poetici «che erano molto tristi ed evocavano il mondo della follia». Quando, tuttavia, ha realizzato il suo film, la Campion si è limitata a raccontare la storia quotidiana di una donna dalla prima infanzia alla piena maturità, tenendosi ben lontana dal binomio genio-follia, arte-sregolatezza. Di che cosa parla, infatti, Un angelo alla mia tavola? Si potrebbe dire che parla di schizo-frenia, ma solo nel senso originario del termine su cui pure ha richiamato l’attenzione Jaspers: la mente scissa in due mondi, in questo caso il mondo della vita e quello dell’arte e dell’espressione. Il mondo della vita è descritto in queste pagine nei suoi capitoli salienti: l’infanzia trascorsa a Dunedin, in Nuova Zelanda, nella povertà degli anni della Depressione; il trasferimento al sud, al seguito del padre ferroviere; i primi colpi che lasciano il segno: l’obesità infantile, la sgraziata adolescenza, la fatalità della morte con la prematura scomparsa della sorella Myrtle, l’orrore dell’ospedale psichiatrico; e poi la fuga, il tentativo di suicidio, il ritorno alla casa paterna. Il mondo dell’arte e dell’espressione vive nella compagnia dei poeti – Shakespeare, Shelley, Keats, Dylan Thomas, T.S. Eliot, Auden – che come un teatro dell’immaginario subentra spesso alla triste scena del mondo reale e restituisce la felicità perduta. Vive, infine, nella prosa stessa di Janet Frame, nella sua mobilità nervosa, nella imprevedibilità delle immagini e dello stile che ne fa una delle più grandi scrittrici del Novecento. Con la presente edizione, che offre una traduzione aggiornata e rivista, l’opera appare per la prima volta nella Biblioteca Neri Pozza. «Una delle più grandi biografie del Novecento. Nel viaggio da un'infanzia luminosa alle cupe esperienze di una supposta pazzia, fino alla riconquista della vita attraverso la scrittura, il lettore è guidato dal magico potere delle parole di Janet Frame». Times Literary Supplement «Una storia eroica narrata con brio, humour e forza immaginativa». Sunday Times «Uno dei libri più belli e commoventi che io abbia mai letto». Jane Campion
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