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Senbra di vivere in prima persona la tragica avventura ad alta quota descritta nel libro
Al di là delle polemiche sulla "versione Krakauer" e sulla "versione Bukreev" Il libro è un'interessante reportage sull'ascesa e conseguente discesa della vetta più alta del mondo, della dea madre della terra. Cosa mi ha lasciato? -Amarezza per non essere mai in grado di poter tentare imprese del genere. -totale ammirazione per gli esperti scalatori. -rabbia per chi, solo avendo un cospicuo conto in banca, può intraprendere un'impresa che dovrebbe essere destinata solo a pochi eletti. Dal punto di vista stilistico il libro è ben scritto, ricordiamoci che è l'estensione di un articolo giornalistico, quindi rimane immediato, tagliente e privo di velleità narrative. Trasmette appieno l'angoscia, la tenacia, la brama, l'arroganza dell'uomo. Lo consiglio per chi subisce il fascino della montagna. Importante puntualizzare che, al contrario degli autori di Everest 1996, per la stesura di questo libro sono state fatte interviste documentate e registrate a tutti i sopravvissuti.
Libro decisamente accattivante, cattura la tua attenzione fin dalle prime pagine. Il racconto è quello del disastro sulla cima del mondo, l'Everest, e l'oggettività è dovuta non solo dal fatto che lo scrittore abbia vissuto in prima persona quei drammatici momenti, ma anche perché l'autore si mette in dubbio e cerca spiegazioni logiche e coerenti per ogni precisione presa oltre gli ottomila metri. Nonostante la ricerca massima di oggettività, nulla è tolto al sentimento tragico della disgrazia che sta per avvenire e alla sensazione che non tutte le avventure abbiano un lieto fine per i loro personaggi buoni. Pietra miliare della narrativa alpina.
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