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Le assaggiatrici
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Le assaggiatrici - Rosella Postorino - copertina
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Le assaggiatrici
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assaggiatrici

Descrizione


Romanzo vincitore del Premio Campiello 2018. - Vincitore del Premio Wondy di letteratura resiliente 2019 - Finalista Premio Letterario nazionale Chianti 32ma edizione.

Con una rara capacità di dare conto alle ambiguità dell'animo umano, Rosella Postorino, ispirandosi alla storia vera di Margot Wölk (assaggiatrice di Hitler nella caserma di Krausendorf) racconta la vicenda eccezionale di una donna in trappola, fragile di fronte alla violenza della storia, forte dei desideri della giovinezza.

«La voce dell'assaggiatrice cattura il lettore e non lo libera mai, per quanto è vera, tesa, penetrante.» - Donatella Di Pietrantonio

La scrittrice dirige con sicurezza il coro delle assaggiatrici, definisce i loro caratteri, indaga i rapporti di forza e di solidarietà che si instaurano, i segreti e le colpe infrattate nella profondità delle coscienze. - La Lettura, Il Corriere della Sera

"Il mio corpo aveva assorbito il cibo del Führer, il cibo del Führer mi circolava nel sangue. Hitler era salvo. Io avevo di nuovo fame"

La prima volta in cui Rosa Sauer entra nella stanza in cui dovrà consumare i suoi prossimi pasti è affamata. «Da anni avevamo fame e paura», dice. Siamo nell'autunno del 1943, a Gross-Partsch, un villaggio molto vicino alla Tana del Lupo, il nascondiglio di Hitler. Ha ventisei anni, Rosa, ed è arrivata da Berlino una settimana prima, ospite dei genitori di suo marito Gregor, che combatte sul fronte russo. Le SS posano sotto ai suoi occhi un piatto squisito: «mangiate» dicono, e la fame ha la meglio sulla paura, la paura stessa diventa fame. Dopo aver terminato il pasto, però, lei e le altre assaggiatrici devono restare per un'ora sotto osservazione in caserma, cavie di cui le SS studiano le reazioni per accertarsi che il cibo da servire a Hitler non sia avvelenato. Nell'ambiente chiuso di quella mensa forzata, sotto lo sguardo vigile dei loro carcerieri, fra le dieci giovani donne si allacciano, con lo scorrere dei mesi, alleanze, patti segreti e amicizie. Nel gruppo Rosa è subito la straniera, la "berlinese": è difficile ottenere benevolenza, tuttavia lei si sorprende a cercarla, ad averne bisogno. Soprattutto con Elfriede, la ragazza più misteriosa e ostile, la più carismatica. Poi, nella primavera del '44, in caserma arriva un nuovo comandante, Albert Ziegler. Severo e ingiusto, instaura sin dal primo giorno un clima di terrore, eppure - mentre su tutti, come una sorta di divinità che non compare mai, incombe il Führer - fra lui e Rosa si crea un legame speciale, inaudito.
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Dettagli

2018
11 gennaio 2018
285 p., Brossura
9788807032691

Valutazioni e recensioni

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Davide
Recensioni: 1/5

Letto al momento della sua pubblicazione ma non mi è piaciuto. L'ho trovato scontato, banale, freddo e tutto tranne che empatico. Per me è l'esempio di una buona e riuscita campagna di marketing e sinceramente non me la sento di consigliarlo.

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Daniele
Recensioni: 3/5

Romanzo che nasce da un’idea veramente geniale, originalissima: le donne che assaggiavano i cibi di Hitler, realmente vissute ma delle quali non si è mai saputo nulla. Visto lo spazio narrativo che si apriva grazie a eventi mai trattati prima da altri scrittori, avrei goduto volentieri di una storia avvincente come un giro della morte sulle montagne russe. O profonda, tanto da mettere a nudo i sentimenti più intimi, deflagranti, di donne provate da un assurdo mestiere, sempre sul filo della morte. Invece la storia non mi convince, la trovo piatta, prevedibile e con qualche caduta in luoghi comuni. In generale mi piace molto lo stile di scrittura della Postorino (avevo letto il suo romanzo d’esordio) ma la narrazione non mi ha mai preso, raggiungendo l’animo dei protagonisti in pagine bellissime solo nel finale, giusto in tempo per la chiusura. Per il resto la storia latita e continui a leggere nella speranza che accada qualcosa che davvero non ti aspetti. Postorino è una scrittrice che privilegia lo stile alla storia, secondo la prassi ormai comune dettata dagli editor e richiesta dalle giurie dei premi letterari. L’importante è saperlo.

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n.d.
Recensioni: 5/5

Uno spaccato storico riguardo il nostro recente passato

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Recensioni

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Voce della critica

Pochi giorni dopo essermi immerso negli obbrobri della Seconda Guerra mondiale attraverso la figura de Il tatuatore di Auschwitz e le vicende di Resto qui, decido di soffermarmi sul tema e mi tuffo in un romanzo attualmente di gran successo: Le Assaggiatrici.

Ricca di personaggi ben tracciati, la storia ruota intorno a Rosa, giovane donna a servizio di Hitler, impiegata come cavia per salvaguardare il Führer da eventuali tentativi di avvelenamento. Affrontare con costrizione ogni pasto con il timore che possa essere l’ultimo. Mettere a rischio la propria vita per una causa contro la quale si combatte. Vincere, da “straniera” berlinese, la diffidenza delle altre assaggiatrici instaurando confidenza e taciti accordi.

Rosa è fame e paura, rassegnazione e voglia di vivere. E’ una giovane donna zavorrata dall’incertezza di un marito al fronte, combattuta tra il peso della speranza e dell’attesa ed il desiderio di sentirsi viva.

Costretta a convivere con un ambiente non suo, cerca di accomodare i propri atteggiamenti e le proprie pulsioni per farsi accettare da quel poco che le è rimasto. In un ambiente dove creare legami sembra impossibile, dove la salvezza di se stessi coincide con il sacrificio degli altri, dove fame e paura giocano malignamente a rincorrersi, Rosa deve muoversi in punta di piedi per restare viva, fuori e dentro, danzando in equilibrio, non senza scivoloni, sul fragile filo dell’integrità.

Leggere Le Assaggiatrici è quasi guardare un film. Una sceneggiatura perfetta sulla quale viene istintivo pensare agli attori giusti ed attribuire i ruoli. Scorrono le parole e proiettano immagini. Una storia capace di mescolare sapientemente angosce, sentimenti, drammi e turbamenti. Sottovoce. Un incalzare soffocato di relazioni umane in un contesto che di umano ha ben poco.

Scrittura pulita ed educata, quella di Rosella Pastorino, abile a ricostruire pagine intense da uno spunto di storia reale e poco esplorata. Un romanzo da assaggiare e gustare con calma, senza scossoni, per amalgamare al meglio i molti ingredienti che lo compongono. Con la certezza di non rimanerne intossicati.

 

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Il corpo e la colpa, assaggiando guerra e storia

Prussia Orientale, 1944: nella “tana del lupo”, il rifugio segreto di Hitler, alcune donne sono assunte e pagate dal regime per mangiare il cibo del führer e verificare se sia o meno avvelenato. Questo è il nocciolo de Le assaggiatrici (285 pagine, 17 euro), il nuovo romanzo di Rosella Postorino edito da Feltrinelli. Una vicenda vera, anche se poco nota, alla quale l’autrice si è appassionata leggendo su un giornale di Margot Wölk, una di queste donne, a lungo chiusa nel silenzio sulla vicenda e disposta a far trapelare qualcosa solo intorno ai novant’anni, poco prima di morire e di lasciare la stessa Postorino, alla ricerca di testimonianze, priva di un racconto autentico della storia.

Ma il romanzo è terra di invenzione e così, a partire dallo spunto storico, l’autrice se ne è servita per allestire la vicenda di Rosa Sauer, 26enne berlinese sposata da un anno con Gregor. Lui è partito per il fronte, la madre è rimasta uccisa sotto i bombardamenti della capitale tedesca, non le resta che scappare in campagna dai suoceri, le uniche persone con cui condividere solitudini, dolori e speranze in attesa che Gregor faccia ritorno. Sarà lì che Rosa entrerà a far parte, con altre ragazze e donne, della squadra di assaggiatrici di Hitler, ogni giorno condotte in caserma per sedersi alla mensa e assaggiare i pasti potenzialmente letali destinati al Führer.

Una condizione ambigua e spaventosa: la possibilità di mangiare mentre, intorno, si muore di fame per la guerra. Eppure anche la possibilità di morire a ogni boccone, nel caso in cui fosse realmente avvelenato. È lo scacco a cui sono condannate Rosa e le ragazze che come lei assaggiano, vittime di un grande “sistema digerente” che le vede pedine impossibilitate a decidere, destinate a correggere ogni passo forzato e imposto dall’esterno perché sia il più utile possibile alla propria sopravvivenza. Si accetta così la scommessa dell’assaggio per mantenersi vive, per uno stipendio utile alla famiglia, perché si è state scelte dalle SS e non si potrebbe rifiutare, perché in quella mensa, per quell’intero anno che precede la disfatta tedesca, si vive come in una bolla parzialmente protetta, solo marginalmente lambita dagli orrori della guerra.

Stridono le bombe, là fuori, le lettere che annunciano dispersi, la crudeltà dei militari, e stride la figura di “Briciola”, il cuoco di Hitler, preoccupato dalla preparazione di manicaretti realizzati secondo le volontà del dittatore quando invece, fuori, manca il latte per i bambini. I bambini, quegli stessi piccoli esseri che, destini futuri, non hanno diritto di cittadinanza in un mondo concentrato sull’oggi, sull’esserci resistendo a tutto, e sono cercati e insieme temuti da chi quell’universo lo abita macchiandosi ora dopo ora del peccato della guerra e dei suoi rivoli, spire che contagiano con la contraddizione altre esistenze. È una scacchiera di bianchi e neri dove le sfumature di grigio diventano colpe e segreti, pulsioni, dolori, angosce e rassegnazione in ogni personaggio, e di cui Rosa è l’alfiere incaricato di spiegare, di raccontare.

In questa morsa, che sazia la fame nel gioco della morte preparato in mensa, esplode il grido dei corpi. Corpi saziati nel rischio più grande e tuttavia connaturato da sempre, quello della morte attraverso l’alimentazione. Ma anche, sempre, corpi costretti, corpi colti nell’intimità che si vorrebbe domestica e privata, ma che è costretta a farsi collettiva e pubblica nei rigori della guerra. E poi corpi che chiamano, attraverso segnali interni solleticano coscienze, si interrogano, vibrano, e lasciando segnali eloquenti attirano e insieme ripugnano. Sono corpi che parlano, i veri protagonisti di queste pagine.

Con una lingua che scolpisce le sensazioni e i pensieri di Rosa, alla quale è destinato il racconto in prima persona di questa vicenda, Rosella Postorino esplora il grande “sistema digerente” della guerra. Ed è attraverso il corpo – e la sua lingua antica – che dà forme e sensazioni alle ambigue derive di un tempo non ordinario: ascolta il grido dei suoi protagonisti, che cedendogli, tornando indietro, ascoltando o fingendo di non sentire finiranno per diventare i reduci, i sopravvissuti. Di questo percorso sono nutrimento i morsi di dolore che annientano fino a far desiderare di morire, la scomposizione in figure staccate dalla realtà, che si muovono come silhouette prive di tridimensionalità fisica, la restituzione al mondo, infine, dopo un processo che li ha trasformati e che per farli sopravvivere li ha resi capaci di ogni azione. La digestione è la grande metafora in cui è assorbito tutto: il cibo, la sua sensazione sul palato, tattile, olfattiva, le labbra che mordono, gustano, ma baciano anche, i giochi perversi dell’infanzia, in cui scoprire il mondo – e la morte – giocando a mandare giù in gola oggetti per sfidare la morte e sentirsi vivi.

La colpa è, dopo il corpo, l’altro grande tema e fil rouge di questa potente storia, che risuona – ancora una volta metaforicamente – in pancia. La colpa e i segreti che le si ricamano intorno, per tenerla nascosta, invisibile agli altri, pena da espirare in solitudine, peso da sommare a un elenco segnato solo nella mente. È colpa il poter mangiare a sazietà mentre fuori si ha fame, è colpa il desiderio del corpo, irrefrenabile e soddisfatto alle peggiori condizioni. Colpa è tacere per tenersi vivi, fidarsi amando e scoprire di aver sbagliato ma essere ancora integri, scappare per salvarsi, abbandonando anche gli affetti. La colpa morde come la fame, in una lotta che non conosce pace e che deve imparare a camminare rischiando a ogni passo su quel filo che separa il giusto dal non giusto, l’amicizia dall’opportunità, la vita dalla morte.

Rosa vive tutto su quel filo: il cibo, ogni boccone un potenziale pericolo che le strapperebbe la vita; l’amore, coltivato nel segreto tra le pulsioni del corpo e del desiderio; le amicizie, con i loro voltafaccia inattesi e i gesti pensati e mai concretizzati. E ancora i segreti, gli egoismi della guerra, e altre colpe, altri peccati dettati dalla disperazione, che nella scrittura di Rosella Postorino compaiono e via via prendono corpo, da germogli ad arbusti, mattoncino dopo mattoncino, a costruire le mura portanti del romanzo, a indicare i suoi punti cardinali.

La colpa si lenisce in uno scollamento dalla realtà, che non sembra più tornare: ci sono i ricordi e le foto di un prima sempre più lontano, ma è buia la speranza nel domani, la visione di un futuro che non sia quotidiana angoscia, lunga quanto una guerra, rigida quanto una vita che si ciba di pulsioni, segreti e sensi di colpa. È una vita che, per proseguire, scoprirà di dover imparare la sopravvivenza con tutti i suoi compromessi, fisici e morali. Accoglierà così, nel grande silenzio quasi pudico delle assaggiatrici sulla propria attività durante il nazismo, la perdita di un’innocenza macchiata di sangue, di tradimenti, di voluta ignoranza dei fatti là fuori, tra campi di sterminio e roghi di libri. «La verità non l’ho mai saputa, non l’ho mai chiesta» dice infatti Rosa: dovevo sopravvivere, sembra scusarsi la stessa voce, affamata di esistenza.

Rosella Postorino costruisce un romanzo che ha il pregio di svelare una pagina poco nota del nazismo, e dietro una rigorosa ricerca storica dà vita a personaggi che pulsano, scalpitano e non cessano di muoversi, interrogarsi e cercare la luce in quell’universo sempre ambiguo, contraddittorio, al contempo ripugnante, commuovente e palpitante che è la vita.

Recensione di Alessandra Chiappori

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Conosci l'autore

Rosella Postorino

1978, Reggio Calabria

Rosella Postorino è cresciuta a San Lorenzo al mare (IM) e vive a Roma. Ha esordito con il racconto In una capsula (Ragazze che dovresti conoscere, Einaudi Stile libero 2004), ha poi pubblicato alcuni racconti e un saggio di critica letteraria, Malati di intelligenza (nell’antologia Duras mon amour 3, Lindau 2003). Il suo primo romanzo, La stanza di sopra, uscito a febbraio 2007 per Neri Pozza Bloom, è entrato nella rosa dei tredici finalisti del Premio Strega e ha vinto il Premio Rapallo Carige Opera Prima e il Premio Città di Santa Marinella. Collabora con le pagine romane del quotidiano «la Repubblica» e scrive su «Rolling Stone». Ha pubblicato inoltre L’estate che perdemmo Dio (Einaudi Stile Libero, 2009; Premio Benedetto Croce e...

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