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Marias è tornato. E, come al solito, non delude. Anche se in questo romanzo si discosta un po' dalla sua solita scrittura, ancora una volta ha concepito una storia intensa, che una volta finita lascia in testa pensieri, elucubrazioni, interrogativi. Nel ritratto di due anime alla deriva, troviamo ancora una volta la conferma di un grande scrittore, mai banale.
Primo libro che leggo di questo autore... al termine mi dispiaceva fosse finito. Coinvolgente e profondo.
Dopo aver letto Berta Isla mi chiedo se davvero esista una “difesa del Regno”: una difesa permanente e silenziosa, di cui quasi nessuno sa nulla né deve sapere, qualcuno che rimane vigile perché gli altri possano riposare, qualcuno che capti le minacce, che le preveda prima che sia troppo tardi. È questa difesa che diventa, suo malgrado, la ragione di vita di Tomàs Nevinson, e della giovane moglie Berta Isla, che dell’assenza di lui farà la propria ragione, di vita appunto. Libro avvincente, forse un po’ tirato per le lunghe nella parte centrale, ma coinvolgente. Voto arrotondato per difetto, merita mezza stella in più.
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«Il mondo non lo alterano certo la nostra soppressione o la nostra nascita, il nostro lento percorso, la nostra esistenza, la nostra fortuita comparsa e il nostro inevitabile annullamento. E non lo altera alcun fatto, alcun crimine commesso o sventato, alcun avvenimento. […] Non importa, non può mancarci quello che non è successo.»
La conversazione tra Wheeler, professore ad Oxford, e Tom racchiude il senso profondo dell’ultimo lavoro di Marías. Più che un dialogo, uno squarcio. Sulla vacuità dell’essere, sulla bellezza della possibilità, sull’eternità dell’irrealizzabile. Su di noi.
Berta Isla, l’ultimo libro di Javier Marías , ha vinto il “Premio la Lettura”, organizzato dall’omonimo inserto culturale del Corriere della Sera. Il romanzo, edito da Einaudi, ha tratto nuova linfa vitale dai riconoscimenti che ha vinto (è stato premiato anche da “Babelia”, l’inserto di El Pais), incuriosendo un numero ancor maggiore di lettori. Tra questi, lo ammetto, ci sono anche io, stimolato da un’opera decisamente atipica, di un autore un po’meno popolare di altri scrittori spagnoli come Montalbán o Zafón.
Per la maggior parte del romanzo, la storia è raccontata in prima persona da Berta, giovane donna madrilena che, per periodi di tempo indefiniti, è costretta a vivere lontana dal marito, Tom Nevinson. Sulla carta risulta lavorare per un ente anglo-spagnolo a Oxford, nel Regno Unito. La realtà, invece, è molto più oscura e terribile. Nonostante l’assoluta centralità della moglie, delle sue riflessioni che scaturiscono senza soluzione di continuità tra un dialogo e l’altro, la protagonista assoluta del racconto è l’attesa: dell’amore vissuto, dell’amato lontano, di una vita insieme che sia piena e soddisfacente.
La materia narrata, i dialoghi, gli ambienti sono una parte infinitesimale se confrontate con il ruolo predominante del pensiero con cui Berta cerca di comprendere la realtà e che scaturisce proprio dalle infinite attese del marito. Nel romanzo di Marías la Storia (con la “s” maiuscola) e le storie dei singoli si intrecciano per dare vita ad un mosaico complesso e raffinato, in cui i maggiori avvenimenti del secondo novecento spagnolo ed europeo vengono analizzati con assoluta criticità ma anche con una vena di rammarico. La morte di Franco, la guerra delle Falkland, il terrorismo dell’IRA, la guerra fredda sono solo alcune delle tematiche che, tramite le parole e i pensieri di Berta, l’autore fa arrivare al lettore. Berta Isla parla anche di incomunicabilità, dell’incapacità di giungere alla conoscenza profonda dell’altro, sempre lontano, irraggiungibile.
di Stefano Eliseo
Si ringrazia il Master Booktelling
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