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Anno edizione: 1992
Anno edizione:
Anno edizione: 2014
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Io non amo molto Simenon, ma questo libro invece mi ha coinvolto per la straordinaria capacità di descrivere le due protagoniste: Betty in modo così tattile che sembra di vederla, Laure più in ombra ma inquietamente presente. Un inizio un po caotico ma poi piano la storia si dipana e si rimane coinvolti, tra le nebbie dei liquori, nella storia di betty e della sua lenta e forse non consapevole lotta contro l'idea borghese della brava donna di casa.alla fine lo trovo un buon romanzo, però di certo non un capolavoro.
Betty è forse italianizzabile con Betta o Benedetta...ma anche se così non fosse questo espediente linguistico mi serve a descrivere Betty appunto come anima Benedetta. Alcuni la definiscono disadattata, asociale, scontrosa e perfino crudele...ma Betty è in ognuno di noi. Betty è la nostra anima che grida e noi non la udiamo, Betty è la nostra personalità schiacciata dalla società, dalle consuetudini e dalla banalità del mondo. A livello letterario forse Simenon avrebbe potuto esplorare in maniera più profonda la profondità liquida di Betty (e quindi la nostra)...tuttavia questo resta comunque un gran bel romanzo.
Georges Simenon è certamente un narratore di qualità, capace come pochi di delineare perfettamente ambientazioni, di ricreare atmosfere, di scendere in profondità nella psiche dei suoi personaggi e Betty è una di questi, una donna incapace di affrontare la realtà, spesso cruda, se non crudele, della società in cui vive. Già come ci viene presentata, in preda ai fumi dell’alcol, con gli abiti di qualità, ma sgualciti, le calze con le smagliature, smarrita, in preda a uno stato confusionale e soprattutto disperata. È un essere che si lascia trasportare, inerte, dagli eventi, come se avesse i piedi su questo mondo e la testa forse in un altro. Fa tenerezza per questa sua fragilità, ma anche repulsione, per quella sua incapacità di sapersi coscientemente relazionare. Insomma una che c’è, ma che anche non c’è, un personaggio quasi dalla doppia identità: apatica e rassegnata alla sua incapacità di amare, ma anche tesa alla ricerca di un amore, quell’amore che forse potrebbe salvarla, senza però che ci sia la convinzione in lei che possa essere la soluzione di tutti i suoi problemi. La potremmo definire una disadattata, una incoerente, una donna che non riesce a trovare una precisa identità e un ruolo nella società che le consenta di esserne consapevole parte. Si tratta evidentemente di un personaggio al limite, ma che serve egregiamente a Simenon per addentrarsi nella psicologia femminile, a volte tortuosa e complessa. Considerato il carattere dell’autore, i suoi turbinosi rapporti con l’altro sesso, la sua violenza anche nei confronti dello stesso, non mi stupisce più di tanto che abbia ideato un personaggio come Betty, che ripeto è al limite, per quanto, sia pure con caratteristiche meno esasperate, non sia difficile trovare donne che riescono a mostrare, nel medesimo tempo, due facce della stessa medaglia. È indubbio che Simenon qui sia riuscito a esprimere il suo virtuosismo ai massimi livelli, ma pur tenendo conto di questo elemento positivo, il romanzo in sé, per quanto di grande successo, mostra alcuni limiti, come per esempio una non impeccabile realizzazione delle atmosfere a cui lo scrittore belga ci ha sempre abituato e anche gli eccessi caratteriali in altre opere sono stati delineati meglio; inoltre la trama è tortuosamente avvitata su se stessa, tanto che la lettura ne risente . È esclusivamente per questi motivi che, sebbene sia dell’opinione che l’opera abbia una sua non trascurabile valenza, comunque non mi sembra in linea con altre che rasentano la perfezione, come, tanto per citarne una, Il piccolo libraio di Archangelsk. Aggiungo che qui è troppo presente l’autore, così che il personaggio che viene proposto e costruito appare come in controluce, laddove la fonte luminosa è identificabile chiaramente proprio in Simenon. Quindi per me è un ottimo romanzo, ma non un capolavoro.
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