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Anno edizione: 2008
Anno edizione: 2015
Anno edizione: 2015
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Bitches Brew è uno scorcio di quella torrida giungla elettrica dov’è Davis si è ampiamente infiltrato dal 1967 sfornando album del calibro Miles in the Sky, Filles De Kilimanjaro, In A Silent Way e per l’appunto il maestoso e divino Bitches Brew. E una fotografia dei Sessanta che trapassano nei Settanta. Inevitabilmente: battesimo di un jazz-rock che è già fusion, e cioè fusione, nelle strutture della jam psichedelica proprie dell’epoca (Davis vorrà dividere il palco con gente come Grateful Dead e Santana), di jazz, rock, elementi etnico-esotici e della classica contemporanea (in Europa, in questo stesso contesto, si muovono i Can). Premesso ciò, per l’orecchio veramente attento, questo disco non può non suonare ancora come modernissimo, e quindi, in quest’epoca post-post, profondamente datato, noioso. Padre, Miles, dopo questa primogenitura, di tanti di quei figli degeneri. La decostruzione maceriana (esposta in primo piano, con le brusche cesure e gli abbassamenti di dinamica dell’iniziale Pharaoh’s Dance; con la voce di Davis che dirige nella title track) diluisce i temi e sublima la pulsazione funk, crea atmosfere umide e sospese, intensamente chiaroscurali, lunghe divagazioni dominate da una selva di intrecci percussivi, la tromba di Miles più ruvida, aggressiva che mai. Fino alla conclusiva, elegiaca, Sanctuary. Costruito per sfruttare il successo di questa nuova musica chiamata rock, il disco vendette in poco tempo mezzo milione di copie, accolto molto bene anche dalla critica. Eppure, il vice-direttore di Rolling Stone, Ralph J. Gleason, accusò Macero di avere ucciso il jazz con quella sua cosmetica di studio. E in Italia si parlò di un “Davis elettronico”. Tutto falso e tutto vero. Perché siamo sicuri che la rivoluzione del taglia e cuci digitale Davis l’avrebbe apprezzata e anche molto.
Bitches Brew è un doppio album jazz di Miles Davis, pubblicato nel 1970 dalla Columbia Records. L'opera ha vinto un Grammy Award nel 1971 come miglior album jazz strumentale e nel 1999 il Grammy Hall of Fame Award. La copertina e l'atmosfera del disco sono un riferimento all'Africa, humus culturale cui Miles Davis attinge per le composizioni dell'album. Elementi che caratterizzano il lavoro sono: l'uso di strumenti elettrici, la massiccia post-elaborazione delle registrazioni in studio, la dissoluzione della struttura classica della forma "canzone" in favore della libera improvvisazione, l'assenza di melodie memorizzabili, e la lunga durata dei pezzi. Secondo alcuni critici questo album ha inaugurato lo stile jazz-rock definito fusion. Nonostante la sua complessità, Bitches Brew ebbe un grande successo di pubblico, sia tra gli amanti del rock che tra gli appassionati di jazz (fu primo nella classifica USA degli album jazz), anche se molti amanti del jazz tradizionale lo rifiutarono. Vendette più di mezzo milione di copie e rappresenta il secondo miglior successo commerciale della storia del jazz, dopo Kind of Blue (1959) dello stesso Davis.
Quando Miles Davis decise di sperimentare una nuova esperienza musicale incise un paio di LP con il supporto di strumentisti che lo accompagnavano con strumenti elettrici. In questo album, si manifesta la svolta radicale verso un'atmosfera musicale realmente prossima al rock. Due tastieristi, un bassista ed un chitarrista elettrici, la tuba e la tromba di Miles amplificata (e colorata) accanto ad Wayne Shorter in gran forma. rendono queste incisioni un caposaldo della storia del Jazz e non solo.
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