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Non è la storia di Marco Pantani, o meglio solo di Marco Pantani, è la storia di Fabio, ventiquattrenne 'quasi' avvocato, obiettore di coscienza e innamorato del ciclismo e del Pirata, che viene mandato in un convento a prestare il servizio civile. Ma i ragazzi della scuola ai quali avrebbe dovuto fare da educatore non ci sono più e il suo 'servizio' diventa l'accudire Don Basagni, scorbutico anziano direttore bloccato a letto, con il quale all'inizio l'incontro è solo scontro. Poi la comune passione per il ciclismo li fa avvicinare, condividendo i pomeriggi davanti al televisore per ammirare le imprese eroiche di Pantani al Giro d'Italia e al Tour de France del 1998. E allora per Fabio ( l'autore stesso, grande appassionato delle due ruote? quanto è autobiografico questo romanzo? ) inizia il percorso di formazione alla vita, quella vera, non quella millantata fino a quel momento. La forza, la determinazione, la 'fame' del Pirata gli fanno capire il senso dell'esistenza, fatta di alti e bassi, salite massacranti e discese a precipizio, chiari e scuri, cadute e rialzi, perché..... " Sono caduto e mi sono rialzato tante volte (cit. Marco Pantani ) perché... " Cadere è volare. Il problema non è precipitare ma saper atterrare" ( cit. Licia Troisi ) perché... " La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare " ( cit. Jovanotti ) perché.... " Cadrò, cadrò sempre fino all'ultimo giorno della mia vita, ma sognando di volare " ( cit. Alfonso Gatto )
Sospiri di meraviglia, casuali e improvvise escursioni fuori dalle rotte prestabilite, questo regala ai lettori ‘Cadrò, sognando di volare”. La letteratura quando è bella sospende il senso, non cerca significati, e restituisce alla vita la sua forza indicibile. Ma più di tutto la sua impossibilità di raccontarsi. E' la ricerca del senso di un esistere. Ci sono una domanda e un tentativo di risposta. Il valore aggiunto alla ricerca è la fresca scrittura di Fabio Genovesi, che con la sua prosa lieve e perfetta, un ritrattista dei paesaggi umani, scrive una storia di formazione profonda che riflette sulla distanza emotiva che silenzi e dolori possono instaurare. È un racconto pieno di imperfetta perfezione che parla al cuore di chi non vuole smettere di credere che quanto più ci sarà resa la memoria, verrà il tempo della riscoperta del passato. Genovesi legge la storia del ventiquattrenne Fabio nel 1998, e discorre in modo scanzonato e leggero dell'amore e dell'illogicità e dell’incostanza del vivere, della bellezza della giovinezza insidiata dalla inerzia e dalla sfiducia, della favola della specie umana così variegata, dimentica di pietà di fronte alla vita che si illude di dominare. Un racconto pieno di punti interrogativi, di domande, di contrapposizioni; ma anche di parole e silenzi cocenti e della capacità straordinaria di un campione, Marco Pantani, il Pirata, di ispirare antichi miti attraverso il sacrificio dell’Eroe, sia pur chiuso nel ripiegamento della sua solitudine e delle sue imprese. Nulla in queste pagine è sprecato, ogni frase è perfetta, premessa di quella successiva. Ogni pagina innesca l’emotività, allo stesso tempo mantenendosi asciuttissima. L'autore scrive su cosa significa smarrirsi e poi ritrovarsi, raccontando l’umano dei personaggi che animano il racconto. A spezzare quella stagnante bonaccia - interiore ed esteriore- di Fabio e del passato doloroso che torna e l’incontro con il vecchio e ruvido prete, Don Marino Basagni, che porterà Fabio alla ricerca delle sue origini e della sua identità, in un convento surreale delle Alpi Apuane. Un viaggio composto di sfaccettarure, di leggerezza e ritrovamenti reciproci: la natura nuda del luogo è onnipresente e con la spinta dell’umanità ferrigna di Don Basagni e degli altri protagonisti accompagna Fabio alle scoperte e soprattutto alle riscoperte. Un romanzo in movimento in cui ogni fluttuazione è un carotaggio delle infinite vibrazioni che agitano noi in attesa della chiave che le doti di un ordine, di una cadenza che la restituisca all’armonia. Un’aspra dolcezza regna sul “Monte” e se n’è completamente avvolti come i protagonisti che quasi ne vengono ingoiati. Ogni frase dà un’emozione attenta a trasformarsi in pensiero e parola, a non essere invisibili e soli nel mare aperto di una prigione. In questa messa in scena del mito di Pantani– l’energia figurativa dei particolari delle sue imprese qui risente dell’amore che l’Autore ha mostrato per quest’uomo – mostra come in una sinopia, le domande sul rapporto tra la vita e la morte, dando respiro e immagine a queste domande, e si fa narrazione scenica, suono che disegna mondi, tappeto di silenzi sui cui sorgono voci. Per dire come il perduto possa trovare una sua nuova vita nella parola. L’addio, il dolore dell’addio, è in ogni passo delle ultime pagine del romanzo . Si rischia di cadere, sì, ma quando alla radio passeranno la canzone della nostra adolescenza e dei mitici Doors, allora, cantandola a squarciagola coi finestrini abbassati, di sicuro voleremo. Proprio bello il romanzo di Fabio Genovesi.
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