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Il titolo del libro può apparire ambiguo, la vicenda non riguarda un carcere ( nel senso di prigione), riguarda un confinamento, più specificamente è la vicenda personale di Pavese, confinato a Brancaleone. In realtà il titolo descrive perfettamente il romanzo. Il carcere è lo stato d'animo del protagonista, Stefano, catapultato in un'ambiente che non gli appartiene, con usi e costumi che non riesce a comprendere. Pur non essendo in carcere ( gli abitanti del posto gli ricordano sovente che il confino non è molto diverso da una villeggiatura), il protagonista è prigioniero del posto e della sua solitudine. La sua vicenda si intreccia con quella di due donne: la servetta Concia, di una bellezza che solo Stefano riesce a vedere; ed Elena, la figlia della padrona di casa con cui ha una relazione. Nonostante questa relazione, Stefano rimane solo, vorrebbe da Elena solo il corpo, mentre Elena vorrebbe dargli il corpo solo se "le vuole bene". Questo romanzo oltre a raccontare sapientemente i senti enti propri dello stesso Pavese, offre uno spaccato dell'Italia meridionale di inizio- metà novecento. Leggendolo ho pensato a libri come Libera nos a Malo o Cristo si è fermato ad Eboli. Anche qui si parla di un sud dove il tempo pare essersi fermato o non essere proprio partito, con usi incomprensibili per i forestieri. Un vero e proprio carcere intellettuale.
Breve testo di Pavese che racconta la vita vissuta in confino durante il periodo fascista in un paesino della Calabria. Rispetto ad altri testi di questo tipo l'ho apprezzato di meno, ma comunque rimane un bel romanzo che può essere utile per farsi un'idea dell'argomento o come utile passatempo, senza tuttavia sentirsi "appesantirsi" da questo tipo di lettura
Recensioni
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