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Anno edizione: 2017
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“La prima volta non fu quando ci spogliammo
ma qualche giorno prima,
mentre parlavi sotto un albero.
Sentivo zone lontane del mio corpo
che tornavano a casa.”
“Abbiamo bisogno di contadini,
di poeti, gente che sa fare il pane,
che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita,
ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, al sole che nasce
e che muore, ai ragazzi che crescono,
attenzione anche a un semplice lampione,
a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere
più che aggiungere, rallentare più che accelerare,
significa dare valore al silenzio, alla luce,
alla fragilità, alla dolcezza.”
Il nuovo libro di Franco Arminio, le più belle poesie del poeta italiano più seguito sulla Rete
Franco Arminio ha raccolto qui una parte della sua sterminata produzione in versi. Ma non è un’antologia, è un’opera antica e nuova, raffinata e popolare, un calibrato intreccio di passioni intime e passioni civili.
La prima sezione è un omaggio al paesaggio e ai paesi che Arminio racconta da anni nei suoi libri in prosa. La seconda ci presenta una serie di poesie amorose in cui spicca il suo acuto senso del corpo femminile. Dopo i testi intensi dedicati agli affetti familiari, le conclusioni sono affidate a una serie di riflessioni sulla poesia al tempo della Rete.
I versi di Arminio sono lavorati a oltranza, con puntiglio e cura, con l’obiettivo di arrivare a una poesia semplice, diretta, senza aloni e commerci col mistero. La sua scrittura è una serena obiezione alle astrazioni e al gioco linguistico, una forma di attenzione a quello che c’è fuori, a partire dal corpo dell’autore, osservato come se fosse un corpo estraneo. L’azione cruciale è quella del guardare: “Io sono la parte invisibile / del mio sguardo”.
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Franco Arminio e le sue poesie fatte di terra e amore mi hanno coinquistato <3
Arminio è senza dubbio uno dei poeti contemporanei che più amo. L'amore che provo verso la sua poesia lo devo alla scoperta di "Cedi la strada agli alberi".
Ci sono alfabeti interiori troppo distanti da un dizionario comune, difese così vere del sè che, pur rischiando solitudini e spalle voltate, restano i primi inquilini di una verità che salva e fortifica, che non teme i veleni della sua sorellastra, che non è la menzogna, ma la verità offesa, dimenticata. Che cos'è un paesologo? E' l'uomo che siede sul gradino di un piccolo borgo e ne carezza il muschio fra le fessure come se fosse la guancia di sua madre. E' l'adulto testardamente coerente alla sua infanzia, ai suoi luoghi, alla finestra aperta dalla quale un odore di minestra invade la piazza di sotto, al vento che ancora solfeggia i suoi umori fra le pietre del centro vecchio e ne canta gli anni, i misteri, gli echi e le preziosità. Non è affatto poco nel tremendo universo inodore e senza emotività delle Monuments Valley e altri colossi della certezza di una perfezione solo da laboratorio. La macchina rimarrà cosa fallita perché non avrà mai narici. Franco Arminio vaga nella bellezza trascurata di quei paesini quasi estranei a ogni cartina, e grazie alle parole (che nel suo caso sono gemelle dei suoi arti) ne fa rivivere essenze e aurore, sfondi e angoli, costumi e languori. Lo sguardo del poeta è come un balcone dal quale la natura, o Dio o chi per essi sanno fidarsi almeno per un istante della bontà dell'Umano. L'occhio di Arminio è presenza salvata. Egli stesso anzi chiama tutta questa dimensione "l'entroterra degli occhi". Leggiamo: "Io dico che si deve partire da un punto qualunque,/ per esempio dal fatto che alle nove del mattino/ puoi andare in un paese vicino/ e sentire quello che dicono al bar/ un muratore, un vecchio ammalato, un postino./ Quello che conta è capire che la giornata,/ una giornata qualsiasi, è il tuo splendore. /Abbi cura di andare in giro,/ non restare fermo come uno straccio/ sotto un ferro da stiro." Poca filosofia, se non quella umana, volutamente calda, sofferta e condivisa. Il resto è un guscio smorto, una terrazza per vermi.
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