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Nonostante l’orrore del tema trattato, questo libro mi è piaciuto. La decadenza della morale di figli e genitori in un intreccio che non trova una possibilità di redenzione per nessuno. La trama viene svelata, poco per volta come se venissero scoperti i pezzi di un puzzle, dai dialoghi scambiati dai genitori. I figli, i veri protagonisti della vicenda, compaiono solo in due brevi scene ma vengono presentati esaurientemente attraverso questi dialoghi. Koch riesce a mantenere viva l’attenzione del lettore attraverso graduali rivelazioni e costringendolo a capovolgere le sue impressioni iniziali.
Francamente non capisco le ragioni del grande successo di questo romanzo. La storia è potenzialmente interessante, benché trascinata per troppe pagine rispetto a quante necessarie per quel che l'autore ha da dirci sui suoi personaggi, e Koch non riesce ad accompagnare il crescendo narrativo a un crescendo di pathos e di senso di orrore come vorrebbe. Se, invece di amplificare il senso di repulsione morale che suscita la vicenda aggiungendo soltanto folli a folli, l'autore fosse stato in grado di approfondire gli spunti di riflessione che essa offre, indagare le ragioni del male nella sua banalità e approfondire i personaggi e gli impulsi che li spingono, per quanto (anzi soprattutto perché) non condivisibili, forse questo libro sarebbe qualcosa di più che grottesco e ammiccante. Creando invece una galleria di personaggi malati, moralmente abietti o discutibili o impenetrabili (il figlio), e grazie al giochetto del frequente dialogo con il lettore, in cui dichiara di voler tacere ed evitare di approfondire, Koch non fa che dare l'impressione di non aver molto da dire. Leggere La cena mi ha soltanto instillato la curiosità di capire che cosa Breat Easton Ellis o Ian McEwan avrebbero potuto trarre dallo stesso materiale, magari in una traduzione più convincente. Scimmiottare American Psycho, se non si sa creare in tutta la sua sua complessità e le sue sfumature maniacali un altro Patrick Bateman, secondo me dà luogo soltanto a uno sterile esercizio narrativo.
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