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Ho amato Appia uno dei dieci libri più belli mai letto. E Annibale favoloso. Sono un fan di rumiz e ho sempre aspettative altissime. Forse sono particolarmente stanco, forse non era il momento adatto di leggere questo libro, ma mi ha un po' annoiato e in alcuni casi ho perso il filo. Mi è piaciuta molto la storia di flora caroppo che non conoscevo, e la frase della vecchia Tamara una scienza incapace di spaventare è una scienza inutile.
Un’isola uncinata al cielo con le sue rocce plutoniche, attracco difficile, fuori dai tracciati turistici, dove buca il cielo un faro tuttora decisivo per le rotte che legano Oriente e Occidente. L’autore, viandante senza pace, va a condividere lo spazio con l’uomo del faro, con i suoi animali domestici: si attiene alle consuetudini di tanta operosa solitudine, si arrende all’instabilità degli elementi, legge la volta celeste. Il faro sembra fondersi con il passato mitologico, austero Ciclope si leva col suo unico occhio, veglia nella notte, agita l’initimità della memoria, richiama le dinastie dei guardiani e delle loro mogli (il governo dei mari è legato all’anima corsara delle donne), ma soprattutto apre le porte alla percezione. Nell’isola del faro si impara a decrittare l'arrivo di una tempesta, ad ascoltare il vento, a convivere con gli uccelli, a discorrere di abissi, a riconoscere le mappe smemoranti del nuovo turismo da crociera e i segni che allarmano dei nuovi migranti, a trovare la fraternità silenziosa di un pasto frugale. L’autore ci porta con sé davanti al Ciclope, dentro il Ciclope, per dirci la scoperta della solitudine, del vivere con poco, della confidenza con il cielo, con il ritmo della luce, con la propria interiorità e l’inquietante meraviglia del mondo. Un “viaggio immobile” diventato avventura dell’anima.
Fiaba, sogno e riflessione; questo è il Ciclope di Rumiz che mi ha affascianto; mai banale e scritto in modo profondo con tantissime riflessioni personali che meriterebbero una descrizione a parte.
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