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Anno edizione: 1998
Anno edizione: 1998
Anno edizione: 2012
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Questo romanzo d'esordio di Camilleri è stato per me scorrevole e piacevole con pagine intriganti e sorprendenti,come quelle in cui racconta l'avvertimento a Vito e il colloquio finale.L'unico difetto che posso indicare è l'ovvia,essendo un romanzo d'esordio, l'immaturità dell'autore che crea personaggi un po' scontati il cui ruolo si smaschera abbastanza facilmente sin dalla loro presentazione.Tuttavia la trama è molto interessante e godibile.
Primo Camilleri per me, e ho voluto iniziare direttamente dal principio: il corso delle cose è lineare, come il titolo appunto, un viaggio nella Sicilia di un tempo, non contestualizzata in un preciso momento storico, che comunque può essere tranquillamente quello odierno così come quello di tanti anni fa, con le feste di paese, i Santi protettori che non bisogna mai tradire pena le sventure, il sole che scalda, i mestieri fatti di terra e sudore, elementi sanguigni a partire dal dialetto, una sfilza di nomi tipicamente del territorio siciliano; un romanzo che oltre a raccontarci una storia ci svela un popolo, una cultura, una lingua che continuerà più avanti nell'immedesimazione totale con l'acuto Montalbano. Vi dirò: sono rimasta talmente entusiasta nella lettura che non mi è mancato, o almeno non tanto.
Ebbene sì, faccio outing: non avevo mai letto un libro di Andrea Camilleri. Lo confesso, signor giudice: nessun Montalbano, nessun romanzo storico, nessun saggio. E così, mosso dai sensi di colpa, mi sono deciso ad acquistarne uno. Ma quale scegliere? Già, perché Camilleri sarà anche partito in ritardo - come il suo conterraneo, il mio amato Gesualdo Bufalino - ma poi ha recuperato in fretta terreno ed è ormai noto a tutti come saggio vegliardo e come poligrafo instancabile che fa capolino nelle librerie con frequenza incalzante. Fedele alla (mia) linea di lettore metodicamente caotico e liberamente ossessivo, ho così optato per il suo romanzo d'esordio, "Il corso delle cose", uscito nel lontano 1978. Come capita spesso alle opere prime, fu per lo scrittore un parto travagliato, essendo stato scritto - in prima stesura - tra il 1967 e il 1968 e stampato in poche copie solo un decennio più tardi dopo una intensa revisione. All'epoca non ebbe successo e fu riedito nella presente edizione, ulteriormente riveduta e corretta, solo un ventennio dopo, nel 1998 da Sellerio, in seguito ai primi trionfi della saga di Montalbano. Soddisfatto dell'acquisto? Direi di sì, per tre motivi: in primo luogo perché è un bel romanzo giallo, ambientato in un paesino della Sicilia profonda, come molte delle storie dell'altro siciliano mio amato, Sciascia, delle quali condivide alcune tematiche quali la ricerca faticosa della verità e la presenza strisciante della mafia; poi perché sono sopravvissuto al primo impatto con la mescolanza linguistica italiano-dialetto, ciò che era forse il principale motivo di mia diffidenza verso i romanzi di Camilleri; da ultimo perché, pur non essendo ancora un testo perfettamente fluido e coeso, in diverse pagine lascia intuire un grande talento narrativo e descrittivo. Insomma, buona la prima, sia per l'autore sia per il lettore. "L'autore dedica questo libro alla memoria di suo padre, che non seppe insegnargli altro se non di essere quello che è" (p. 11)
Recensioni
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"Racconta una leggenda che due siciliani, accusati in un paese straniero di non si sa quale reato, fossero stati messi in celle separate perché fra loro non comunicassero prima dell'interrogatorio. Portati l'indomani davanti al re straniero, si erano rapidamente scambiata una taliàta. - Maestà! - aveva allora gridato una guardia, siciliano anch'esso - oramai è tutto inutile. Parlarono!"
Improvvisamente tutti sappiamo tutto su Camilleri, abbiamo letto tutte, o quasi tutte, le sue opere (non per nulla i suoi titoli, anche quelli in catalogo da tempo, sono costantemente ai vertici della classifica) e non ci sfugge più l'ultimo lavoro pubblicato. Sappiamo molto sulla sua vita pubblica ma anche privata: fuma tantissimo, ha trovato la sua originale forma di linguaggio scritto, zeppa di termini dialettali, grazie alla narrazione orale fatta a suo padre e alla ricerca di un modo a lui totalmente familiare di esprimersi, ama molto stirare... Questa improvvisa e grande popolarità è un fenomeno quasi unico nel panorama editoriale italiano. Eppure Andrea Camilleri non è "autore dell'ultima ora" e prova ne è il romanzo stesso che stiamo presentando. Il corso delle cose (il primo scritto da Camilleri nell'ormai lontano 1967-68) è stato pubblicato per la prima volta nel 1978 dalla casa editrice Lalli di Poggibonsi (dopo il rifiuto di Mondadori, Marsilio, Bompiani, Garzanti, Feltrinelli ed Editori Riuniti...). Quante copie avrà venduto all'epoca? Quasi nessuna: non era neppure ben distribuito. Perché Camilleri non ebbe vent'anni fa il successo che ha sperimentato negli ultimi due? Cosa ha fatto scattare la molla della popolarità, della fama? È probabilmente uno di quei casi in cui il tam-tam tra i lettori si è rivelato più efficace di qualsiasi altra cosa. Non che precedentemente le avventure del commissario Montalbano (personaggio centrale di alcuni suoi romanzi gialli) non fossero seguite, ma certamente l'incremento dei lettori affezionati è stato esponenziale. Eppure Ruggero Jacobi, a proposito de Il corso delle cose già nel 1979 scriveva "Camilleri sa intrecciare le fila di un mistero con rara abilità, conducendo il lettore sulle vie pericolose e stregate dell'ipotesi mentale, della domanda continua. Ma reso omaggio a questa abilità, che la pratica drammaturgica può avere favorito, bisogna sottolineare la densità dell'atmosfera siciliana evocata e, più ancora, le sottili qualità della scrittura." Evidentemente a ogni narratore corrisponde un'epoca storico-sociale precisa. Gli anni Settanta non erano ancora gli anni di Camilleri. Gli anni Novanta lo sono diventati.
Non esiste una netta divisione tra i romanzi del filone "giallo" della sua produzione e quelli "storici", che descrivono la società siciliana tra gli ultimi decenni dell'Ottocento e il primo Novecento. Entrambi forniscono un affresco della mentalità, della cultura popolare e delle usanze radicate della Sicilia più tradizionale. Questo romanzo, che potrebbe essere definito comunque un "giallo", non fa eccezione. Trae il titolo da una frase di Senso e non senso di Merleau-Ponty: ...il corso delle cose è sinuoso... e molto infatti lo è in questa storia. Il corso delle cose vede qui svolgersi un'indagine di omicidio in un piccolo paese siciliano. Un contadino denuncia il ritrovamento di un cadavere con tre giorni di ritardo rispetto alla morte (seguendo precise indicazioni scritte su un biglietto appuntato sulla camicia del defunto). Al maresciallo Corbo spettano le indagini. Si tratta di un omicidio di mafia? "Vogliamo scherzare? Il nostro è sempre stato un paese babbo, un paese stupido" e in un paese stupido si occupa di mafia solo chi viene da fuori, da altri luoghi dell'isola. Ma perché, allora, quella stessa notte hanno sparato a Vito, un uomo del paese, davanti a casa, tentando di ucciderlo? Tra frasi non dette, riferimenti accennati, mezze parole e tante insinuazioni e conclusioni sbagliate, basterà uno sguardo finale per capire il vero "corso delle cose".
A cura di Wuz.it
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