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Anno edizione: 2015
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Troppo violento, viscido... lascia addosso la sensazione di essere sporchi; ti fa entrare in un meccanismo perverso che non ti arricchisce. La trama lascia desiderare
Ossessivo, pornografico, violento, perverso, questi alcuni degli aggettivi coi quali classificare Crash di James Graham Ballard. E poi disturbante, disturbante al punto da risultare talvolta grottesco. D'altra parte Ballard sceglie di raccontare qualcosa di non raccontabile, o meglio, qualcosa di quasi inimmaginabile, sulla scia della precedente raccolta di racconti La mostra delle atrocità. La brutale precisione della prosa di Ballard, come suo solito, è di un rigore scientifico, non lascia scampo. I luoghi del romanzo sono innanzitutto le automobili, funzionanti o distrutte, descritte con acribia e ieratica deferenza in ogni loro ammennicolo e componente. Poi le strade, i chilometri di strade di scorrimento ad alta velocità, raccordi, piazzole di sosta, le tangenziali dove termina l'orizzonte di vita dei protagonisti, quasi fossero muraglie che li tengono prigionieri nell'area residenziale nei pressi dell'aeroporto di Londra. Brevi squarci di interni, appartamenti, condomini, stanze. Ovunque campeggiano i manufatti opera dell'uomo. L'interpretazione più immediata che si può dare di Crash è quella che vede i protagonisti come soggetti disumanizzati che hanno eletto a perno della propria vita le automobili. Si eccitano al tocco dell'automobile, delle cicatrici lasciate loro dai componenti dell'automezzo, vedono nelle ferite da incidente dei nuovi orifizi tramite cui scatenare le proprie pulsioni sessuali. In Crash si scorge un chiaro nesso tra morte, tecnologia, sesso. Come in parecchie opere di Don DeLillo, soprattutto nell'ultima, Zero K, ho rinvenuto un impiego massiccio dell'aggettivo 'stilizzato', come anche richiami alle installazioni di arte contemporanea. E, a ben pensarci, forse Crash è davvero una formidabile, deviante, installazione in forma di romanzo.
.G. Ballard espone la sua vetrina glaciale di seme e tecnologia. La sua rassegna appare come una profezia erotecnologica che oltre la ragione ne esplora nuove cavità. Vaticinando la fusione calda fra vorticosi amplessi e lo sfascio lucido e meccanicizzato della Società tecnologica, con i suoi riti iniziatici, sagoma amplessi sulle traiettorie autostradali fra le decorazioni oliate, nature morte ricucite di parabrezza trafitti e vetri infranti da crani e articolazioni, nella metallica masturbazione cruscotto/tecnologica delle forme automobilistiche. Questo tema, sviluppato in un crescendo di folle contorsionismo celebrogenitale, è esposto e reiterato a libitum in un'auto/psia di parole. Nella postfazione dello stesso Ballard furoreggiano lucidamente alcuni concetti chiave illuminanti e caldamente anticipatori che abbracciano, sovraesponendola, l'intera nostra Società e il disagio che l'avvolge [infatti James cita appropriatamente "Il disagio della Civiltà" di Freud] disvelando in modo perfetto l'evolversi del Concetto stesso di Fantascienza e Riattivandone il ruolo fondamentale nella Narrativa moderna. Fantascienza, non rappresentata da un Futuro incollocabile o dallo Spazio sconosciuto, ma dalla Ricollocazione precisa del Nostro temuto Presente. Ballard ridefinisce i territori della fantascienza come quelli dello "spazio interno intendendo per tale quel territorio psicologico (manifesto, per esempio, nella pittura surrealista) nel quale s'incontrano, fondendosi, il mondo interiore dello spirito e il mondo esteriore della realtà" [pag. 201] e magistralmente, allarga il campo scandendone il concetto politico e tracciando il ruolo stesso dello scrittore "Allo scrittore in particolare è quindi sempre meno necessario inventare il contenuto fantastico del proprio romanzo. L'invenzione fantastica essendo già data, il suo compito è l'invenzione della realtà." [pag. 203].
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